Il capro, la danza e l’ebbrezza
Dioniso, il dio dell’ebbrezza e della danza, raggiunge la Grecia da terre lontane e mi-steriose. Ospite Sconosciuto, appunto, giunto in Attica, ove trova alloggio, così narra uno dei tanti miti che lo ricordano, presso il giardiniere Icario e la di lui figlia Erigone. Egli porta in dono, infido in sé, il vino, con cui, di notte e dopo averlo stordito con l’offerta di questa bevanda, ne violenta la figlia. L’ospitalità quale valore sacro cede alla passione. Dominio del linguaggio del corpo o sua prigione. (Quante sciocchezze ci furono inculcate sulla debolezza della carne! Essa è altresì ben forte). Coltivare la vite per trarne dai grappoli, dunque, bevanda fino ad allora ignota. Un dono del dio quasi a ripagare dello stupro, dell’offesa. Un dono che Icario porta, a sua volta, ed insegna agli altri contadini e da costoro viene ucciso quando, pervasi da ebbrezza, sospettano come in essa si celi la presenza del veleno. Ed Icario muore e, estrema immagine, rammenta aver ucciso una capra che aveva colto intenta a cibarsi delle foglie della sua vigna. Poi di averla scuoiata e indossato la pelle e dato vita ad una sorta di muto danzare. L’origine della tragedia (danza dei capri), come ci stupiva, in classe, il professor Morelli, di cui ho scritto di recente, conservandone memoria per cinquant’anni ed oltre.
Erigone, sempre tramite il mito, umiliata ed offesa sceglie la morte e con lei muore il suo cane – entrambi assunti in cielo a dare nome a due stelle. La bellezza il sublime la luminosità il sacro trasfigurano il corpo violato la carne lacerata il suo essere fonte dell’errore e del limite. Il pensiero si traduce in parola dà nome all’orrore e alla colpa abbandona l’originaria terra di confine illude il finito essere parte dell’infinito. Così l’essere prende posto al divenire collocandosi in quel regno dell’immaginario altro da sé ove l’uomo si attarda illuso e pretenzioso. Eppure – mi viene da pensare – se fossimo muti non saremmo qui… E da queste lezioni intorno alla nascita del tragico, di Dioniso che calca lieve la terra a passo di danza (scoprimmo negli stessi anni e con i medesimi intenti l’aforisma di Nietzsche), imparammo a diffidare dell’inganno uso a consolarci e giustificare le nostre manchevolezze in nome e a causa di un paradiso perduto ma, anche e soprattutto, a respingere, ‘vide nell’uomo un porco e ne fece un porco triste’ disse di Freud il filosofo Maurice Blondel, ogni concezione intenta a ridurre noi e la storia vittime di rozza e onnivora materia.