Il sentiero di sassi si diparte dalla strada asfaltata che congiunge Sezze a Bassiano ed oltre per arrivare e disperdersi là dove sorge un rustico abbandonato – qualcuno mi ha detto, credo, fosse un centro di osservazione, forse della Guardia forestale – un fontanile dove si abbeverano i cavalli al pascolo e uno spazio ampio e sterrato. Poco oltre il bivio sorge una sorta di eremo e la leggenda narra che vi si erano rifugiati dei cavalieri templari in fuga dopo il bando emanato dal re di Francia Filippo il Bello e lo scioglimento dell’Ordine, per incamerarne le ricchezze, il supplizio del Gran Maestro (Giacomo di Molay e con lui Goffredo di Charnay e Aycelin di Troyes), arso vivo alle porte di Notre-Dame (il 18 marzo 1314) la dispersione.
Una mattina, molti anni sono trascorsi, scavalcai la recinsione e discesi nel sotterraneo ove, alla parete e ormai quasi del tutto rovinato, s’intravedeva un rozzo dipinto che, è sempre la leggenda che lo vuole, rappresenti il Bafometto su cui i monaci guerrieri avrebbero giurato e compiuto riti idolatrici. Spesso chiazze bianche di neve, l’aria pungente, il cielo un trionfo di stelle, abbiamo celebrato qui il Solstizio d’inverno intorno ad un cerchio di legna messa ad ardere, seri e compiti, a cantare e attendere il sorgere del sole. Gli dei che muoiono e che rinascono, così scriveva Drieu la Rochelle, incessantemente (ultima pagina di Gilles).
Una comunità viveva, allora, i suoi riti e le sue speranze e i sogni e gli ideali che ci si illudeva fossero fonte sorgiva di eterna giovinezza. E, a giugno, il Solstizio d’estate a partecipare del rigoglio della natura con i nostri sensi resi un sol brivido di gioia, a riaffermare la potenza della carne. E con noi, il più assorto silente e coinvolto, Salvatore. Con l’arma in spalla il basco con il fregio della Legione, in una radura fra folta vegetazione (in Gabon, mi sembra di ricordare) la foto incorniciata alla parete fra i miei libri. Mi faceva da guida lungo i monti Lepini, al Semprevisa, quando ancora il mio passo era svelto e sicuro. Se ne andò un giorno a cercare uno spazio ove misurare le proprie forze e tradurre in armi i sogni d’avventura o forse soltanto per non cedere alla noia alla rinuncia ad una vita priva d’affanni. Tornò, infine, dentro una cassa di legno chiaro e grezzo il tricolore francese adagiato sopra il chepì e le decorazioni. Poca cosa, ma ciò che conta rimane nel cuore nella mente. Oggi ci imponiamo di rimanere fedeli alla consegna di non rinnegare gli ideali dei nostri vent’anni. E, muta la domanda, se la scelta di Salvatore di mettere anzitempo a terra lo zaino sia stata la più felice rispetto a tante nostre notti insonni…