«La strada è larga e diritta, talmente lunga che non se ne vede la fine. Ma gli occhi sono puntati più in basso. Niente cielo o un impastato orizzonte, solo asfalto: uno sguardo ravvicinato, conduce ad un traguardo più grande. I muscoli aggrediscono la strada con un ritmo sempre uguale. Non sono solo, centinaia, forse migliaia di uomini calpestano la stessa strada, ma non mi curo di loro. Alle volte il vento ruggisce furente e diviene tempesta; solleva la polvere e i cespugli, rovescia gli alberi che schiantandosi a terra aprono fossi e crepe; allora bisogna stare attenti e non farsi travolgere, senza perdere il ritmo. Il ritmo, il ritmo è importante. Capita anche che alcuni malintenzionati invadano la pista con bastoni o pietre. Ci si accapiglia, si lotta, finché non battono in ritirata. In verità, più d’uno fra quelli che affollano la strada insieme a me soccombe e abbandona, livido e fiaccato. Ma non è da tutti, arrivare sino in fondo, anche se in realtà, io mi domando, quale altra scelta vi sarebbe. Qualche rara volta sogno che dei dolori iniziano a vorticarmi su per il corpo; le ossa sembrano divenire di argilla, i muscoli come fuscelli. La testa inizia a girare e ti sembra di perdere il controllo; anche l’asfalto si fa confuso e sfuocato come l’orizzonte là davanti, ma è proprio qui che si misura un uomo. Dalla prova ci si innalza più determinati di prima! Tutte le notti faccio questo sogno, ma in fondo mi chiedo: che differenza c’è con la mia vita da sveglio? Una corsa lanciata verso la meta dove tutte le forze sono tese in un unico obiettivo. Un sogno che attraversa la barriera della notte, un sogno che, meravigliosamente, non ha mai fine: ecco, proprio così lo definirei».
Attraverso ere che si perdono oltre i confini di quella che chiamiamo Storia, l’uomo ha custodito la consapevolezza di essere parte di un Universo che gli parlava. E ad esso rispondeva. Non solo i veggenti, gli iniziati, ma giù sino alle anime più umili. Ogni sguardo, ogni orecchio teso, scrutava i simboli e i segni che vi erano disseminati. Archi di mistero fra le realtà finite e quelle infinite. Nel cosmo visibile o in quello interiore, lungo la Storia, individuale, ma più ancora collettiva, di un popolo, di una nazione. Segni gettati nel Libro del Tempo e impressi nel Libro del Cosmo. I segni che precipitano lungo l’arco della Storia lanciano ponti fra il presente e ciò che è stato o che deve ancora manifestarsi: presagi benevoli, avvertimenti infausti, o persino castighi che il Fato sparge fra le vicende degli uomini.
E poiché la storia, ogni storia, è sacra, tali orme divine sono sempre state tenute in gran conto. Mai l’uomo ha pensato di sollevarsi oltre il loro giudizio, mai, prima d’ora! Vi è però da esplicitare bene la questione perché non si finisca, come al solito, per credere ad una semplice crisi morale. I simboli e i segni sono offerti all’uomo tramite l’affinamento del suo intelletto, vertice delle sue facoltà. Con esso egli si eleva sino alle vette siderali dei mondi superiori, in esso sperimenta la somiglianza con il suo Creatore. E l’intelletto apre ad un’esperienza totale che inebria i muscoli e le viscere nell’unione mistica. Solo attraverso la via intellettuale ci si conferma pienamente uomini. Solo sostando fra le turbinanti faccende di questo mondo si può scorgere la vera realtà delle cose, intuirne il significato e guidare rettamente l’azione. Una sosta che non si dà banalmente come parentesi temporale lungo la linea dell’agire, ma come habitus che incessantemente opera nel lavoro come nel riposo, nella veglia come nel sonno.
Ma all’uomo di oggi, è stato mozzato l’intelletto, come se un’eterea ghigliottina lo avesse ridotto ad un impasto di psiche e fluidi. La sua azione, totalmente sganciata dalla contemplazione, si è ridotta solo ad attivismo, a ormonale ostentazione di volontà, a istinto di sopravvivenza e sopraffazione contro – egli crede – la pigrizia e la fiacchezza degli inetti che non meritano di sopravvivere. Non bastano devastazioni naturali, pestilenze, crisi sociali ed economiche ad aprire i suoi occhi sulla Verità che esse gli suggeriscono. Egli infatti è come uno scherzo di natura, monco del suo capo, che si agita barcollante lungo le strade del mondo. Non vede, non sente più nulla.
Oh, Uomo! Gli alberi che si abbattono sul tuo cammino, gli assalti di sconosciuti predatori implorano una tua sosta. Ah, se fossi ancora capace di intendere i segni sulla via! Fermeresti i muscoli, alzando il capo lungo la linea dell’orizzonte. Un fuoco ti invaderebbe dalla testa ai piedi divorando i vecchi pensieri e la falsa memoria; un fuoco misterioso che purifica, affinché nessun detrito resti ad impolverare le stanze dove il nuovo verrà accolto. Poi un rintocco, a scuotere la tua interiorità sopita: «Perché questa corsa, questo folle spingersi verso una meta che neppure intravediamo? E cos’è questa strada dove i miei piedi consumano inutilmente la loro fatica? È allora tutto un inganno, un sogno sbagliato?». Il respiro salirebbe sino alle labbra, come un’onda piacevole e nuova. Ti sfileresti le scarpe, e poi, spinto da una Forza di cui non sai ancora il nome, cercheresti il tuo vero destino tuffandoti fra la vegetazione. Dove non vi sono ancora sentieri tracciati, mete preconfezionate, ma dove, nascosta dagli arbusti, ti attende la tua vera casa. Sì, proprio l’abbandonare questa strada farebbe di te, nuovamente, un uomo. Perché solo di questo hai disperatamente bisogno: di gettare tutti gli errori alle spalle e correggere la traiettoria. Un tempo, quando ancora le parole risuonavano vive, la chiamavano conversione.