Tra le crepe del mondo globalizzato

 

Tra le crepe del mondo globalizzato

Ogni generazione nella storia della civiltà europea ha avuto la sua tragedia. I nostri nonni la Seconda Guerra Mondiale, i nostri genitori il ’68 e gli anni di piombo e via dicendo. Eventi drastici, che hanno mutato profondamente la società nella sua struttura paradigmatica, ma anche la forma mentis dell’uomo, eventi che hanno dato impulsi potenti alla ruota della Storia. Non è un segreto che, dopo la “pax americana” imposta dalla caduta del muro di Berlino in poi, il clima da “fine della storia” abbia contagiato, come un virus appunto, le generazioni nate in questa epoca. Un’epoca liquida e fumosa certo, lo abbiamo detto molte volte, ma prima ancora un’epoca piatta, priva di impulsi, di possibilità altre rispetto a quelle che ci ha fino ad ora offerto, o meglio a cui ci ha obbligato, il “mondo libero”, liberale e liberista.

Ogni tragedia che abbia una portata macroscopica tale da riecheggiare in tutti gli ambiti della vita civile, offre oltre alla drammaticità dell’evento in sé, sulla quale non staremo qua a discutere, una serie di opportunità politiche e umane che meritano di essere analizzate.

Umanamente ci sono due chiavi di lettura possibili: la prima è subire la drammaticità dell’evento, somatizzarla, interiorizzarla, arrotolarcisi dentro ed arrendersi alla situazione, la seconda è capire che indubbiamente si può essere qualcos’altro, si può vivere nella rinuncia, nella costrizione, sfruttando questo tempo che abbiamo a disposizione per fare qualcosa che non siamo più abituati a fare; stare con sé stessi. Lo stare con sé stessi indubbiamente non è facile, perché è una condizione che ci obbliga a fare un’altra cosa che ancora una volta non siamo più abituati a fare, cioè riflettere e pensare.

Crediamo di farlo, siamo convinti di vivere in un mondo in cui, tra le tante, la libertà di pensiero è garantita, in realtà non ci rendiamo conto di come il circuito della quotidianità sposti la nostra attenzione sempre verso qualcos’altro di “prêt-à-porter”, di come la frenesia della società ipercapitalista che subiamo ci imponga un codice di pensiero perfettamente allineato e sempre riproducibile alla stessa maniera. Un pensiero che non da spazio per l’immaginazione di un mondo diverso, di un futuro altro dalla riproduzione perfetta di questo eterno presente. Ebbene, nonostante la drammaticità della situazione, cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi; uno su tutti è certamente quello di essersi liberati in un batter d’occhio di tutta una serie di condotte, stili di vita, frenesie mondane, necessità di consumo indubbiamente superficiali, non necessarie e addirittura tossiche per la vita delle persone e per lo sviluppo di una consapevolezza.

Questa coercizione che ci attanaglia in realtà, se presa con la giusta filosofia, è un’opportunità di cambiamento interiore che la storia non offriva all’uomo europeo ormai da decenni. E allora che il militante, il soldato politico, colga l’occasione per riflettere, disciplinarsi, formare la propria mente con buone letture e il proprio corpo con sano esercizio fisico. Che sia colta l’occasione per riscoprire il piacere del tempo che passa, il valore della propria famiglia, che la vita sia ripulita da tutto quel superfluo che ci costringe e che ci limita l’orizzonte di pensiero, che sia riscoperta la potenza straordinaria del silenzio e che l’esistenza sia ricondotta all’essenziale.

Politicamente gli spunti di riflessione si sprecano. Uno su tutti; la situazione creatasi dopo la diffusione del virus ci fa capire come molti “dogmi” sulla non reversibilità dei trattati europei, sulla libertà individuale come paradigma fondamentale, sulla predominanza del mercato e quindi dell’economia sulla politica, siano in realtà imposizioni ideologiche tutte liberiste, e come sia bastato poco per farle cadere come un castello di carte. Questo è l’aspetto migliore della situazione tragica che ci troviamo ad affrontare, il Coronavirus ha smascherato la globalizzazione, e l’ha messa a nudo in tutta la sua fragilità.

Allora iniziamo già ad organizzare un “dopo”, visto che ci è stato palesemente dimostrato che un “dopo” è appunto possibile. Ancora una volta, che le parole d’ordine per il soldato politico siano formazione, pensiero, azione. L’azione per ora ci è impossibile, ma è giusto preparare il terreno per agire non appena sarà finita questa situazione, e penetrare dentro le crepe di questo sistema ormai fragile e consunto. Il momento è propizio, il vento soffia in nostro favore, la globalizzazione – per come la conosciamo – può avere i giorni contati, non disperiamo quindi, il sole tornerà a sorgere sull’orizzonte di questa nostra Europa.

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