Etica e politica ai tempi del Covid-19
La politica oggigiorno tende a disfarsi della forza coercitiva di verità ed etica? Aver parcellizzato la prescrizione morale in aleatorie liberalizzazioni continue è la risposta più in voga a questo tipo di dilemmi. Lungi da me addentrarmi nello scenario geopolitico condito da stratagemmi economici più o meno intuibili, ma è bene farsi carico di un dubbio essenziale: in quale relazione stanno verità e politica? Stiamo assistendo come burattini passivi alle conseguenze della completa sciattezza politica mostrata agli inizi di ciò che alcuni incompetenti continuavano a paventare come “poco più della classica influenza stagionale” riempendo i salotti televisivi di discussioni su quante volte poter uscire per fare aperitivo e, per alcuni, possibilmente a Chinatown per combattere il virus del razzismo “più aggressivo del Covid-19”. Siamo stati spettatori di un atteggiamento tentennante, fuga di notizie e disinformazione che ha condotto la comunità da un estremo di schizofrenica agitazione a quello di moderata serenità per evitare allarmismi. Poche settimane dopo i cimiteri sono colmi, gli ospedali insufficienti (un ringraziamento speciale ai tagli alla sanità), medici e operatori sanitari esausti e lontani dai propri cari per proteggerli, centinaia di morti nel giro di 24h ogni giorno. Pare, inoltre, stando alla Gazzetta Ufficiale[1] dove già in data 1° febbraio 2020 era esplicitata la gravosità internazionale sull’emergenza sanitaria, tale per cui «tenuto conto che detta situazione di emergenza, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari», fosse previsto fin da subito lo stato di emergenza entro una soglia temporale di 6 mesi. Ora che la banalizzazione dell’etica nella responsabilità politica ha raggiunto il suo culmine nella perdita di vite umane e in un Paese ridotto allo stremo, davvero è sostenibile perpetrare questa strategia politica da tecnocrati? Davvero il fondamento morale che risiede costitutivamente nella natura umana non coglie che agire politicamente significa porre le condizioni affinché il bene venga conseguito, realizzato, custodito per ogni singolo uomo? Davvero crediamo in un meccanicismo del funzionario politico a discapito di ogni altezza assiologica del valore rappresentativo di colui/colei che si presta al servizio anzitutto della persona, centro e fine ultimo della sopravvivenza dell’intera struttura sociale? Suppongo che sarà non solo legittimo, ma doveroso far capo al concetto di responsabilità individuale verso la collettività e la preservazione del primo dei diritti, quello alla vita, cui fanno seguito salute e libertà (per citarne due particolarmente colpiti dalle circostanze) inficiati da numerosi profili di rilievo nell’opinione pubblica da atteggiamenti di cieca ideologia: spostare la sensibilità del popolo dalla gravità di un male sconosciuto in evidente espansione all’ “abbracciamo un cinese contro il virus del razzismo” e rimbalzi mediatici a base di involtini primavera è frutto di errore umano – certamente- ma di errore umano ideologico -meno scontato. Questa è la colpa di aver privato dalla dovuta premura il reale problema endemico scollandolo dalla realtà, che è poi il movimento cardine del moto ideologico. Così facendo la libertà di abbracciare un cinese è stata, a conti fatti, una compromissione della libertà di preservare la propria salute. Perciò, mi domando: la triade verità-politica-etica è svuotata di autenticità? Quello a cui stiamo assistendo è l’effetto collaterale ingovernabile del valore umano camuffato in oggetto di scambio monetizzabile? La Verità non può essere depotenziata a favore di sovrastrutture di potere, soprattutto se essa riguarda la condizione stessa della necessità e del bene. Da ciò consegue il diritto-dovere di renderla disponibile all’uomo quand’anche essa si rende determinante nel tempo storico che viene radicalmente abitato dalla presenza umana. Ciò non significa aspettarsi dallo Stato che esso fondi l’etica, quanto piuttosto che quest’ultima sia inglobata nella linfa del suo agire e che l’arduo compito di essere voce del popolo significhi farsi carico di ciò che la norma morale impone. Simone Weil diceva “la verità è una, la giustizia è una. Gli errori e le ingiustizie variano all’infinito”, e ancora “La possibilità di espressione indiretta del rispetto verso l’essere umano è il fondamento dell’obbligo”: un agire qualitativamente ben diverso da legalismo ed economismo antropologico. Conoscere l’oggetto proprio dell’obbligo a cui è chiamata una condotta di adeguatezza è un diritto di chi giace passivamente in merito e vi ripone fiducia, ed è un dovere di coloro che ne richiedono l’osservanza. Individuare diritti umani e principi non negoziabili serve a questo.
Il limite corrispondente ai vincoli del potere e all’ordine delle responsabilità è legittimo soltanto se è stato fatto tutto il possibile per portare a conoscenza di coloro che ne subiscono le conseguenze la necessità che lo impone, senza alcuna menzogna e in modo tale che possano acconsentire a riconoscerlo. Nessun concorso di circostanze può mai esentare da quest’obbligo universale. Le circostanze che sembrano dispensare da tale obbligo nei confronti di un uomo o di una categoria di uomini al contrario lo impongono con più forza. Il pensiero di quest’obbligo circola tra tutti gli uomini sotto forme molto diverse e con gradi di chiarezza molto diversi. Gli uomini tendono più o meno fortemente sia a consentire, sia a rifiutarsi di adottarlo come regola di condotta. Il consenso è molto spesso mischiato alla menzogna. Quando è senza menzogna, la pratica non è senza cedimenti. Il rifiuto fa cadere nel crimine. In una società, la proporzione tra bene e male dipende per un verso da quella tra consenso e rifiuto, e per l’altro da come è distribuito il potere tra coloro che consentono e coloro che rifiutano. Ogni potere, di qualsiasi natura esso sia, lasciato nelle mani di un uomo che non ha accordato a quest’obbligo un consenso illuminato, totale e senza menzogna, è un potere mal riposto. L’esercizio di una funzione da parte di un uomo che ha scelto il rifiuto, sia essa grande o piccola, pubblica o privata, tale da mettergli in mano dei destini umani, costituisce in se stessa un’attività criminale. Ne sono complici tutti coloro che, conoscendo il suo pensiero, l’autorizzano a esercitare tale funzione. (Simone Weil, Senza partito. Obbligo e diritto per una nuova pratica politica)
Covid-19 ha scoperchiato l’odore stantio del narcisismo e dell’individualismo dandoci, nella tragedia, il cordone umanitario perduto di uguaglianza sostanziale (indipendentemente da età, condizioni, etc.), solidarietà concreta (farsi carico della sofferenza altrui), centralità della persona (un bene inestimabile alla cui priorità soccombono interessi di ogni sorta), responsabilità politica (porsi a servizio della persona e del bene comune) vita e salute come beni che la medicina è chiamata a custodire nella consapevolezza che quanto patito nel corpo è un patimento globale della persona, ragion per cui medici in trincea uniscono la saggezza tecnica alla benedizione dei malati. Tutto ciò è quanto il magma ideologico progressista vuol scardinare in possibilità di pensiero ed esistenza; tutto ciò avvicina a quanto Hegel definiva «riconciliazione con la realtà».
[1] https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-02-01&atto.codiceRedazionale=20A00737&elenco30giorni=false