“Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne” (Esodo, 12, 14) è il giorno di Pasqua segnato dal sacrificio d’ un agnello senza difetto, maschio, il suo sangue sparso sugli stipiti e l’architrave delle porte salverà i primogeniti israeliti, il giorno seguente il popolo lascerà in fretta l’Egitto dopo quattrocentotrenta anni, passando dalla schiavitù all’esodo verso la terra promessa. Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccatum mundi! esclamò Giovanni Battista vedendo suo cugino Gesù venire presso di sé (Gv.1,29), olocausto umano simile al giovinetto Isacco per mano di suo padre Abramo, ma allora l’angelo fermò la lama del patriarca ed un ariete finì sull’ara, non così fu sul Gòlgota quel venerdì 8 aprile del 30 d.C. (datazione più accreditata).
La Pasqua ebraica (Pèsach o Pesah) celebra la liberazione dal servaggio del popolo di Giacobbe (Israele) dopo l’ultima piaga inferta da Dio all’Egitto d’un Faraone duro di cuore nella notte tra il 14 ed il 15 del mese di Abìb. Per i cristiani è la resurrezione di Gesù Cristo, il passaggio dalla morte alla vita, dice S. Paolo: “Ma se Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor. 14). La Pasqua è un atto di fede, il guscio dell’uovo si aprirà col nascere di una vita nuova, il sepolcro resterà vuoto, sarà la terra promessa ad Abramo, la Gerusalemme celeste, se non è “passaggio” non è Pasqua neppure nell’etimo della parola.
E’ Pasqua la festa cardine di ebrei e cristiani credenti e praticanti, radicati nella Tradizione mosaica o nella promessa di Cristo (“chi crede in me anche se morto vivrà” Gv.11,25), se no credi, sei morto anche se vivi, rifletteva S. Agostino, perché la fede è l’anima dell’anima, altrimenti meglio lasciare che i morti seppelliscano i morti.
In un contesto di grande afflizione condita dal sale della paura che la navicella affondi a motivo dell’imprevista tempesta che in un attimo travolge le nostre quiete certezze scoprendoci cristalli, la malattia, la morte cercano il loro antidoto nella scienza, secondo venerata ragione, non certo nella fede in Dio, retaggio questo dell’ignoranza quando agli dei si chiedevano grazie in assenza di farmaci salvavita. Imploriamo il Padre quando il buio della dea ragione è fitto, Minerva non ci aiuta nella notte proprio come adesso che respiriamo il nemico nell’aria.
La risposta al rimbrotto di Marta a Gesù: “se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” fu la resurrezione di Lazza liberato dalle tenebre del sepolcro, un evento meraviglioso, la rosa di Gerico tornò a schiudersi germogliando d’incanto, prendendo linfa dalla fede di una sorella, la montagna nera s’era spostata.
Non sappiamo di cosa fosse morto, forse l’odierna medicina l’avrebbe curato salvandogli la vita e restituito guarito ai suoi cari seguendo il protocollo, diagnosi, prognosi, terapia, cura, controllo senza ricorrere all’ultima speranza chiusa nell’armadio, il miracolo.
Certamente Maria e Marta si erano prese cura di lui con tutto l’amore e la dedizione dovuti a un fratello attingendo alla medicina tradizionale fondata su rimedi naturali, ma le Parche avevano detto basta! Il filo era finito, bisognava tagliarlo, il balsamo della vita non c’era, l’amico Gesù se n’era andato. Se fosse stato lì Lazzaro non solo non sarebbe morto ma ai primi sintomi del male l’avrebbe guarito. ”O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;/ risorgi […]”, parafrasando Whitman ma non da ultima spe però, come oggi, ma come unica sorgente di vita.
Un microscopico demone, invisibile, ci rende nudi come vermi, fa del mondo un carcere globale, è lui Gulliver in viaggio nei paesi dell’orbe, mettendo a nudo la società dell’Utopia di Tommaso Moro.
“Ce la faremo” scrivono sui post-it gli ottimisti, a fare cosa? Beh a superare questo momento, per poi riprendere la corsa dei levrieri nei cinodromi e non importa se la lepre è finta, niente cambierà appena la scienza ci somministrerà il vaccino, allora correremo più veloci sull’anello del progresso per recuperare il tempo perso e il Padre Eterno tonerà in archivio, buono per la prossima occasione almeno finché scienza e tecnica non ci faranno Dio.
Di tutto questo logorroico gallinaio di guitti e saltimbanchi, avidi di share quanto avari di competenze, passata a nuttata non resterà nulla, alle tante Marte e tanti Lazzari resterà invece l’immagine di un crocifisso da solo sotto la pioggia battente in una piazza vuota, speranza non delusa del passaggio dalla morte alla vita.
Buona Pasqua.