Tutto passa…

 

Tutto passa…

Per telefono (ci si impone, modello 1984 di Orwell, il distanziamento sociale, quale orribile termine e quale orribile condizione e quale orribile prospettiva!) Franco mi racconta di quando, tradotti in treno, giunsero a Taranto per poi, alcuni giorni dopo, essere imbarcati e racchiusi nel P.O.W. (prigionieri di guerra) 211 Camp – Algeri. Egli scorse, per primo, scendendo sulla banchina, un ufficiale sovietico. E, immediato, gli venne di comunicare agli altri suoi commilitoni il timore d’essere consegnati ai russi. Di notte, in un reticolato poco distante, si levò il canto triste di canzoni slave. Allora non poteva immaginare che quei prigionieri sconosciuti, combattenti contro Stalin nelle file della Wehrmacht, sarebbero tornati in URSS per essere impiccati o morire di stenti nei Gulag siberiani.

La memoria sempre vigile e lucida l’ha riportato, allora giovane marò del btg. Lupo- Decima MAS, ad oltre settant’anni, avendogli io fatto cenno ai libri del generale cosacco Krassnoff che ho ripreso in mano, in questi giorni di forzata inedia fra cui Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa (che, fra le due guerre mondiali, ebbe una discreta risonanza) e Tutto passa (che lessi da adolescente e fu fra le letture avide e molteplici fra le più coinvolgenti).

Dal Passo di Monte Croce Carnico l’Armata a cavallo dei cosacchi dell’Atamano del Don Piotr Nikolajewitsch Krassnoff, dopo aver sfondato la linea partigiana a Ovaro il 2 maggio del 1945, scese verso il territorio austriaco, stanziandosi nei pressi di Lienz. Lungo il corso del fiume Drava. Circa ventimila uomini con le donne e i figli, in varie località sotto il controllo delle truppe inglesi. Ignari che costoro s’erano accordati, su pressione del dittatore georgiano, perché fossero consegnati ai sovietici. E così avvenne, nonostante gli alleati fossero ben consapevoli quale sorte fosse riservata a quei combattenti che avevano impugnato, illusi e sconfitti, le armi per conquistare il diritto di avere una patria tra il Don e i monti del Caucaso. Tratti con l’inganno gli ufficiali, fra cui lo stesso Krassnoff (saranno tutti impiccati il 16.1.1947, come da notizia apparsa sulla Pravda), gli inglesi entrarono nel campo di Peggetz, dove era raccolta la maggior parte dei cosacchi, e comunicarono che sarebbero stati caricati su treni e rispediti in Russia. Quando costoro cercarono di opporsi, spararono loro e li costrinsero con la forza mentre alcuni fuggirono disperdendosi per i boschi mentre altri, con i caratteristici carri a forma triangolare, si gettarono nelle acque vorticose e gelide della Drava e con loro le donne e i bambini.

Per anni, a Peggetz, eretto un monumento con i nomi degli uccisi, i cosacchi in esilio i sopravvissuti si ritrovarono negli ultimi giorni di maggio, nei primi giorni di giugno. E, avendo trascorso alcune estati a Ravascletto, in Carnia, sotto il monte Zoncolan, mi ero ripromesso di essere presente. Non mi fu possibile, dato l’impegno a scuola a chiusura dell’anno. Di Ravascletto era una giovane donna, Maria Plazzotta, che era andata in sposa di un caucasico. Forse anche lei consegnata ai  sovietici. Certo che gli anziani del luogo ne dimenticarono solerti il nome e muti alle mie sollecitazioni… La memoria sembra, a volte, essere come un elastico che lo si tira secondo necessità. Così mi rimangono i libri di Krassnoff e la telefonata con Franco. Tanto basta, forse.

Torna in alto