In questo tempo di angoscia e nevrosi collettiva, ove l’uomo europeo ha perso da molto la sua essenza, e l’Europa stessa appare come una mediocre entità senz’anima, ovvero senza origine né fine, cioè scopo e fondamento, noi presuntuosamente e un po’ poeticamente abbiamo ancora il coraggio e la voglia di parlare di Europa. Coraggio e voglia che discendono dalla necessità di conoscere, quindi di ri-conoscere le proprie origini, essenza dell’apparato geofilosofico e antropologico che avvolge e penetra le genti d’Europa, gli indoeuropei.
Parlare di stirpe oggi, equivale ad essere considerati nella migliore delle ipotesi dei criminali, nella peggiore dei folli. Noi però, di essere folli o criminali poco ci importa, e procediamo quindi per questa via, certi che nel mondo moderno ormai in putrefazione, la bellezza, la purezza, la forza e l’intelligenza, siano ancora e sempre saranno, come sempre sono state, doti intrinseche degli europei.
Dal Mediterraneo al Baltico, dalla Grecia antica, alle tribù germaniche, dai celti agli slavi, da Roma a Mosca, dall’Atlantico agli Urali, questa terra risuona di un’eco guerriera e civilizzatrice. Europa come ascesi dell’azione, il suo clima va dalla mitezza mediterranea che è medietà, al freddo asciutto del Nord, tagliente e luminoso come una lama di ghiaccio. Tra l’Europa come dimensione storico-spirituale e la modernità sta la “terra di nessuno” di una eterna lotta, quella del sangue contro l’oro, le cattedrali contro i grattacieli, lo spirito contro la materia, i templi contro le banche, i miti degli eroi contro la Coca Cola. E in questa trincea noi dobbiamo cercare, a fondo, per riscoprire ancora una volta il fondamento, che è principio e fine, della nostra grande civiltà, la civiltà fondata dalla stirpe indo-arya.
Gli Ari, come ricordava De Gobineau, possiedono l’intero dominio dell’intelligenza come energia riflessa; dominio che si associa ad una minore veemenza e immediatezza delle sensazioni. Lo spirito pratico nella stirpe indo-arya ha una sensibilità e un significato più elevato, più ideale, più coraggioso rispetto agli altri popoli. Gioia estrema per la lotta e per la conquista, istinto dell’ordine, pronunciato gusto per la libertà, la personalità e la dignità, e soprattutto il culto dell’onore, fanno di noi i discendenti di una grandezza ormai reclusa nei meandri dello spirito. Spirito sopito e schiacciato dalle propaggini liquido-moderne, che hanno fatto dell’Europa e del suo popolo una terra di predoni e predati, mercanti e mercati.
Tornando però sul concetto dell’onore, esso si fonde direttamente con l’essenza della forza civilizzatrice, ed è infatti pressoché sconosciuto agli altri popoli. Andando a ritroso in senso filologico, il termine onore ha radici comuni nei vari ceppi etnici degli indoeuropei. Il termine stesso di “ario” ha antichissime origini, e sempre indica i migliori. In sanscrito designa i “nobili”, coloro che sono degni d’onore, e viene applicato all’insieme delle caste superiori, in opposto alla casta dei servi, chiamata anche casta nemica o casta oscura, mentre quella degli arya era detta casta divina. Si noti come in sanscrito il termine casta – varna – significhi anche colore, da qua l’idea che il sistema indù delle caste altro non sia che la sintesi di una stratificazione di razze originariamente di diverso colore; i bianchi ovvero gli Ari, presumibilmente i conquistatori, e gli strati nemici e oscuri, cioè i popoli soggiogati. Il Rg-Veda, testo originario della tradizione indù chiama Aryas coloro che parlano la lingua del testo, e Aryavarta, cioè terra degli Ari il loro dominio.
Il termine ario, o ariano appunto, appartiene anche alla tradizione iranica. Dario il Grande si definiva “Ario di razza aria”, e chiamava il suo Dio “Dio degli Ari. Lo stesso Erodoto riferisce che i Medi prima si chiamavano Ari, e il nome originario della Persia, cioè Iran e prima Èran, significa terra degli Ari. La stessa tradizione iranica inoltre, dà alla patria originaria e leggendaria del grande Nord, il nome di “Airyanem vaéjo” che vuol dire “semenza degli Ari”, considerata come la prima creazione del Dio di Luce Ahura Mazda.
Sempre per la medesima tradizione spirituale, gli Ari sono concepiti come gli amici, i fedeli e alleati di Dio di Luce e al suo fianco combattono il Dio delle Tenebre Arimane. Anche in questa contrapposizione, che è il tema centrale di tutta la religione iranica, è possibile scorgere una sedimentazione antropologica legata allo scontro tra le caste indù di cui sopra.
Percorrendo ancora le vie mistiche del continente Eurasiatico, in Europa l’antico nome dell’Irlanda, Erenn, è derivato dal termine arya, il quale è anche associato al termina “aire”, parola irlandese che significa signore. Il termine tedesco ehre, onore, anch’esso è probabilmente un figlio della parola arya, le cui radici si ritrovano ovviamente anche nel termine greco “aristos”, che implica l’idea di superiorità, e infine nel latino “herus” e nel tedesco “herr”, laddove entrambe identificano il “signore”.
Per quanto concerne la spiritualità della stirpe indo-arya, essa ha per centro il concetto di luce, splendore. Gli Dèi ariani sono essenzialmente divinità della luce, del sole, del cielo. Dalla radice “du” che vuol dire illuminare, deriva il “Deva” e il “Dyaus” degli Indù, il “Deus” dei Latini, lo “Zeus” dei Greci, il “Dus” gallico, il “Tyr” nordico, il “Tiuz” degli antichi germani, la “Devana” degli Slavi.
Lo spirito del popolo guerriero e civilizzatore da cui discendiamo è ancora presente dentro di noi, impresso nella memoria arcaica della nostra gente, parte costituente del nostro sangue, a noi stanno l’onere e l’onore di una discendenza pesante, a noi stanno ancora l’onere e l’onore di rinvigorire tale spirito, risvegliarlo e puntare nuovamente lo sguardo verso la luce, uscendo finalmente da questo profondo incubo, liberando e salvando l’Europa dai predoni d’oltreoceano e dai mercanti del deserto.