Washington inizia a battere i tamburi di guerra

 

Washington inizia a battere i tamburi di guerra

L’Amministrazione USA, in difficoltà per la sua disastrosa gestione della crisi del Covid-19 e per le conseguenze economiche di questa, ha iniziato a battere i tamburi di guerra.

Non è quindi un caso che l’Amministrazione Trump stia cercando un capro espiatorio su cui gettare le responsabilità della crisi: il primo è la Cina, il secondo è l’Iran.

La strategia di Washington in questo frangente è scontata e consiste nell’accusare la Cina e il suo regime autoritario di essere responsabili dell’attuale dramma sanitario; di non aver avvisato in tempo del pericolo del virus; di aver inizialmente nascosto la diffusione del virus e di essere stato poco trasparente. D’altra parte è da tempo che l’Amministrazione USA accusava la Cina di espansionismo e interferenze nei paesi considerati il “cortile di casa” di Washington, come il Latino America e il Medio Oriente, quindi vuole cogliere l’occasione di mettere Pechino sul banco degli imputati.

La superpotenza americana sta perdendo terreno, stretta tra una crisi economica senza precedenti e il fallimento delle sue politiche di assedio sanzionatorio contro paesi che non si piegano al suo dominio, come Iran, Siria, Venezuela, e deve indicare un nemico su cui scaricare la sua aggressività.

Così, invece di occuparsi delle proprie omissioni e carenze, l’opinione pubblica è invitata a colpevolizzare la Cina per la diffusione dell’epidemia, ben guardandosi di fornire prove e di chiarire l’attività dei propri laboratori bio-miltari dove da tempo il Pentagono coltiva agenti patogeni per una guerra biologica.

Le ragioni che inducono Washington a questa corsa delirante di accuse sono collegate al timore di perdere la leadership del mondo per causa dell’impetuosa crescita del gigante cinese. Da tempo lo sviluppo economico e tecnologico della Cina è considerato come il grande pericolo per l’egemonia statunitense.

La situazione è simile a quella determinatasi dopo l’11 settembre, approfittare di una crisi per scatenare guerre contro i rivali geopolitici. Allora fu la “guerra al terrore” scatenata da Bush Jr. e da Dick Cheney che prese di mira i paesi arabi e islamici fra Medio Oriente e Asia occidentale. Il fallimento di quella campagna militare costata oltre un milione di vite umane e la distruzione di paesi come l’Iraq, la Libia, la Somalia, la Siria e l’Afghanistan non ha insegnato niente. Adesso potrebbe essere il turno della Cina ma l’avversario in questo caso è tutt’altro che impreparato.

Attaccare militarmente la Cina è un’impresa ardua da cui le forze armate USA potrebbero uscire malconce, considerato l’enorme potenziale militare di Pechino che potrebbe ricorrere al suo armamento nucleare per difendersi.

Ecco allora che si fa largo nella mente dei neocon di Washington, la possibilità di un’alternativa con una guerra contro l’Iran, l’eterno nemico degli USA e di Israele. Un conflitto nel Golfo Persico sarebbe un modo per far risalire anche i prezzi del petrolio che stanno portando al fallimento numerose imprese petrolifere americane, darebbe soddisfazione ad Israele che da tempo preme per un attacco all’Iran e sarebbe un segnale per gli alleati degli USA che Washington è sempre la superpotenza leader, nonostante i suoi ultimi fallimenti.

Questo spiega le minacce di Trump di affondare le unità navali iraniane nel Golfo ed altrove, se queste osassero avvicinarsi alle navi USA. La leadership iraniana non prende sotto gamba tali minacce e si prepara per rispondere colpo su colpo, come ha dimostrato dopo l’omicidio del suo generale Soleimani.

Un attacco contro le unità navali iraniane scatenerebbe una rappresaglia missilistica contro le basi militari USA in Medio Oriente e da lì si allargherebbe il conflitto in tutti i paesi dove l’Iran dispone di sue milizie affiliate, dagli Hezbollah del Libano alle milizie sciite in Iraq, in Siria, nello Yemen e persino in Afghanistan.

La scelta per gli strateghi della Casa Bianca si presenta molto difficile con possibilità di un nuovo disastro annunciato.

Quello che Washington non può cambiare è il lento ma inesorabile declino della sua potenza che viene messa crudamente in mostra con la crisi del coronavirus, con i milioni di disoccupati e la miseria montante.

Man mano che il coinvolgimento degli USA nell’economia globale si riduce sarà molto difficile per Washington continuare a svolgere il ruolo di Banca Centrale per tutto il mondo con il dollaro. Il mondo si avvierà, dopo questa crisi, sempre più decisamente verso un sistema multipolare e la politica di ricatti e sanzioni non basterà più per frenare l’ascesa delle potenze emergenti.

La fine delle vecchie teorie politiche di matrice anglosassone si avvicina a grandi passi e non saranno rimpiante.

 

 

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