Oggi la difesa della democrazia è un assioma, se pur timidamente qualche illuminato asserisce che dovremmo togliere il diritto di voto a chi non possiede i mezzi per decidere, perché evidentemente queste persone votano partiti che mettono in discussione il pensiero dominante, essa è largamente difesa da tutte le parti, specialmente dalle forze di minoranza. Tuttavia la democrazia presenta più di un difetto.
Elemento fondamentale per un regolare funzionamento di uno stato democratico è la corretta informazione. Questo è il più grande ostacolo alla realizzazione di una democrazia compiuta. Prendiamo come esempio la Rai. La tv di stato dovrebbe essere per eccellenza quella che “non può mentire” e per moltissime persone è così. Una larga fetta della popolazione italiana è convinta che la Rai non può non avere a cuore l’interesse degli italiani.
Prendiamo un esempio da manuale. Nel 2017 la corrispondente della Rai da New York Giovanna Botteri, dopo aver fatto una campagna elettorale contro il candidato repubblicano, all’indomani dell’elezione di Trump ha dichiarato in diretta ‹‹che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana?››. La giornalista stipendiata dagli italiani dichiara apertamente che il ruolo della stampa, non è quello di informare oggettivamente, ma di indirizzare il voto politico. Sembrano delle parole scritte da Orwell, ma spesso la realtà supera la fantasia e la distopia.
Altro esempio fulgido di sincerità giornalistica è stato quello di Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, che nel maggio 2019 ha dichiarato in diretta ‹‹faccio una confessione, c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera. Guardando i calcoli della mortalità infantile in Grecia, mi sono accorto che con la crisi sicuramente sono morti 700 bambini in più. La crisi e il modo in cui è stata gestita la crisi in Grecia ha avuto questo effetto drammatico›› concludendo con le parole ‹‹ho deciso di non scrivere perché il dibattito in Italia è così avvelenato che gli anti-europei avrebbero potuto usare come una clava questa notizia.›› Capito bene? Se una notizia mette in discussione le politiche economiche dell’Unione europea, semplicemente non va data perché bisogna convincere che l’Ue è qualcosa di aprioristicamente buona, a prescindere dalla nuda realtà.
Altri esempi di “democrazia distorta” ci vengono forniti dal partito che per eccellenza dovrebbe essere democratico, in quanto la parola democrazia è presente nel suo nome. Oltre a tornare al governo senza mandato popolare dopo essere arrivato terzo alle elezioni alleandosi con quelli che fino al giorno prima avevano etichettato come ignoranti e incompetenti, il Partito Democratico mostra continuamente il suo amore per la democrazia impedendo di parlare a coloro che non sono allineati al loro pensiero. Hanno esultato quando è stata censurata su Facebook la pagina di CasaPound Italia, hanno impedito –con un’alleanza ante litteram con il M5S- la presentazione di un libro al Salone internazionale del libro a Torino solo perché parlava di un loro nemico politico. Al governo con un’altra forza politica che tanto sbandierava la democrazia diretta, hanno istituito una task force contro le fake news, ovvero contro chi mette in discussione le parole del guru del coronavirus Roberto Burioni, lo stesso virologo che il 2 febbraio affermò “in Italia il rischio è zero”. Ovviamente la soluzione è il vaccino e chi dubita è un pericolo per la società.
Se perfino il presidente del consiglio esce in televisione a reti unificate per fare affermazioni palesemente false, è evidente che abbiamo più di un problema con la democrazia. Finanche Mentana, che non è un sovranista, ha criticato Conte per aver utilizzato la televisione per attaccare le opposizioni senza contraddittorio.
A invalidare del tutto la democrazia, subentra il fattore emotivo. Se fino a ieri gli uomini era mossi da un ideale, oggi tutto si riduce al tifo politico dove la razionalità non ha voce in capitolo. Si giudicano i politici sulle categorie simpatico-antipatico, arrivando a negare la realtà pur di continuare a tifare la propria squadra/partito politico. Se si riduce la democrazia a espressione emotiva, essa è un fallimento in partenza.
Gli elementi che ci possono far dubitare di vivere in un paese democratico sono numerosi. In senso strettamente giuridico –come ricorda spesso l’avvocato Marco Mori- uno stato per esistere ha bisogno di tre elementi: un popolo, un territorio e il potere di imperio sul popolo in quel territorio. Dal momento che per far funzionare l’economia utilizziamo una moneta che non è di nostra proprietà e che il bilancio dello stato italiano deve sottostare a delle direttive europee al di fuori della sovranità che appartiene al popolo, possiamo lecitamente dubitare di vivere in un paese democratico, perché uno stato se non è sovrano non può essere nemmeno democratico.
Sappiamo che da una certa parte politica, la parola “sovranismo” viene utilizzata come sinonimo di nazionalismo o fascismo. Tuttavia basterebbe leggere le parole dei padri della nostra costituzione, tutti antifascisti, per capire che non è così. Scriveva Piero Calamandrei in un articolo del 1950
«Per aversi uno Stato sovrano e indipendente, è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò predisposti, le forze politiche interne. Stato democratico sovrano è quello, le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa con metodo democratico, e non da volontà o da forze esterne, che stiano al disopra del popolo e al di fuori dello Stato.»
Inutile ricordare che Piero Calamandrei (1889-1956) fu un antifascista, membro della consulta nazionale, eletto all’Assemblea costituente, uno dei fondatori del Partito d’Azione, socialista liberale che ebbe numerosi incarichi parlamentari. Se lo stesso uomo pronunciasse oggi queste parole, verrebbe etichettato come fascio-leghista o altri appellativi che non significano un bel niente.
Tornando all’attualità, se pensiamo che l’Unione europea oltre a decidere come dobbiamo spendere i nostri soldi, ha anche voce in capitolo sulla formazione dei governi, i dubbi aumentano. Ha fatto storia l’avversione dell’Ue alla nomina di Paola Savona come ministro dell’Economia nel fu governo gialloverde. Si può parlare di democrazia se il presidente della Repubblica mette il veto su un nome solo perché inviso all’Ue? Evidentemente no.