Nell’epoca del postmoderno, del postumano e della postverità, l’assunzione dei metodi educativi si potrebbe pensare che vada lasciata alla decisione dei singoli, quando non viene determinata da quelle linee ideologiche che chiamiamo “politicamente corretto”. Eppure, è stato detto, l’albero si giudica dai frutti. Per ogni teoria infatti, a meno di non voler restare nella vaghezza dell’indefinito, la misura del proprio valore è data dai risultati che produce e ciò vale, diremmo essenzialmente, per le teorie pedagogiche. E allora possiamo constatare come l’antica educazione abbia dato frutti di civiltà altissimi, una schiera di geni in ogni campo di attività umana e una società di cittadini rispettosi delle leggi perché avevano a cuore il bene comune: una società in cui non mancavano certo problemi e tensioni, ma nella quale le soluzioni erano sempre cercate nell’interesse di tutti per la tenuta del corpo sociale.
Dall’altro lato, quello del presente, abbiamo i figli della pedagogia del senso di colpa: il risultato è una società in via di progressivo sfaldamento di ogni solidarietà e appartenenza; individui passivi dinanzi agli stimoli esterni, ridotti a merce che consuma merce. Una società che, a volte, guarda sdegnata gli inevitabili effetti delle proprie scelte, incapace di comprendere di essere essa stessa la causa dei propri mali. Incapace di comprendere, cioè, che aver alimentato l’assurda e insensata pretesa alla destrutturazione della vita umana, impedisce al cittadino che ne consegue di essere rispettoso di leggi o regolamenti, tra l’altro sempre più minuti e pervasivi quanto meno sono rispettati. Né possiamo “sperare” sempre in una pandemia, cioè nello schmittiano stato d’eccezione, perché, sull’urto della necessità, si riacquisti un senso comunitario che, senza radici, sarà solo momentaneo.
Si vive perciò nella schizofrenia di un privato che si pretende libero da ogni considerazione comunitaria e da ogni norma che limiti l’arbitrio individuale e di un pubblico che viene sempre più normativizzato. Salvo stupirsi, alla prova dei fatti, del mancato rispetto di quelle stesse norme, anche di quelle di più comune buon senso, persino di quelle poste a tutela della stessa propria esistenza. Stupore che nasce dall’ignoranza del fatto che la natura umana è sì plastica – altrimenti non si darebbe la stessa possibilità di educare – ma è pur sempre una. Se si educa l’individuo a considerare, nella sfera del privato, ogni norma a difesa di interessi comunitari come un sopruso, una violenza alla quale ribellarsi, sarà impossibile che tale considerazione della legge non si rifletta nei comportamenti pubblici. La distinzione tra bourgeois e citoyen ha avuto la sua importanza storica quando si trattava di opporsi allo Stato-Leviatano e a una Chiesa oppressiva, ma oggi mostra tutti suoi limiti.