Gramscismo o garantismo? Qualche nota sulla “politicizzazione” della Magistratura

 

Gramscismo o garantismo? Qualche nota sulla “politicizzazione” della Magistratura

Di gramscismo se ne è parlato, se ne parla e se ne parlerà.
Già sui primi numeri de La voce della fogna, rivista giovanile missina fondata Marco Tarchi e animata da personalità come Stenio Solinas e Franco Cardini si problematizzava il fatto che, laddove il mondo comunista fosse effettivamente riuscito a scavalcare il suo ruolo di opposizione permanente esercitando un forte interesse politico in istituzioni culturali, atenei e (spesso per conseguenza diretta) apparati, il mondo neofascista (che oltre a restare inamovibile nel suo ruolo opposizione permanente , risultava pure anti-sistema) si dilaniava da solo nei congressi, denunciava o addirittura smontava le proprie occupazioni studentesche nel ’69 arrivando, infine, a dover separare politicamente partiti e le giovanili che a questi facevano riferimento (qualcuno dovrebbe spiegare in tal senso ai cari giovini del Fronte della Gioventù Comunista che con la scelta di distaccarsi dal Partito Comunista di Marco Rizzo, finiscono per rassomigliare ancor di più a quel Fronte della Gioventù con qui condividono una omonimia mozzata. Organizzazione che, sin dalla fondazione, aveva una tessera autonoma e si reputava realtà meramente “federata” con il Movimento Sociale Italiano).

Un lavoro che ancor meglio dei comunisti fecero in realtà (specie a livello di infiltrazione politica) i radicali i quali, oltretutto, senza i frutti di queste operazioni e delle piccole egemonie culturali che andavano a costituire (tipo quella ambientalista, portata nel politico italiano che si interrogava sul nucleare proprio da loro) non avrebbero nemmeno avuto un elettorato di riferimento.
Ma non si devono nemmeno confondere piani e ingigantire i fenomeni oltre la loro portata reale.

Ciò che infatti vale per le avanguardie culturali e politiche che sorgevano ai margini del mondo missino e ordinovista non sono estendibili all’intera galassia che si è seduta nella “Destra politica” in questi decenni.
Come correttamente scriveva Adriano Scianca un annetto fa, non è che si può pensare di occupare spazio nel fermento culturale di una Nazione, nelle minoranze creative che hanno edificato l’ideologia degli ultimi due secoli, e parlare di rivoluzione del buonsenso ergendosi a paladini di un discorso che potremmo definire (a voler essere però anche estremamente generosi) neoqualunquista.
Il fatto che anche gli esponenti (parlo principalmente di figure del giornalismo) più seri dello schieramento sovranista istituzionale ancora facciano leva su una’amabile panzana nixoniana come “la maggioranza silenziosa” (cioè le avanguardie e le teorie sociali non esprimono niente e nessuno, il “popolo” pensa alle tasse), riflette la confusione e la contraddizione di questo discorso.

Essendo tornato d’attualità il caso della “politicizzazione della Magistratura” grazie alle intercettazioni del consigliere del CSM Luca Palama, ci risulta semplice portare proprio questo esempio.
Ecco, non è a causa del gramscismo se la Magistratura italiana (storicamente sostenitrice delle ali di destra della DC e in generale del Pentapartito), parzialmente sedotta dalle venature securitarie del MSI della “Destra Nazionale” e poi ulteriormente conquistata durante la stagione di Tangentopoli  (dove, per meriti o meno, il MSI fu l’unica forza parlamentare a non essere coinvolta in alcun modo nelle inchieste insieme alla ben più piccola e giovane DP), oggi tende ad avere più affinità con il centrosinistra (intendendo le simpatie politiche dei singoli magistrati, ovviamente).
Parliamo di una categoria sociale piccola e alquanto vecchia sul versante anagrafico (circa la metà degli attuali magistrati già esercitava nei primi anni ’90) che ha visto crescere e riversarsi contro di se (ai limiti dell’accanimento) l’intero centro-destra di quegli anni appiattito al “garantismo” vittimista di berlusconiana memoria che denunciava ad ogni pie sospinto vere o presunte lobby giustizialiste.
La fino ad allora ininfluente Magistratura Democratica ebbe un boom di consensi nell’Associazione Nazionale Magistrati (l’assemblea di categoria dei magistrati italiani) in quegli anni e tantissimi finirono per tifare giri che dieci anni prima avversavano per meri calcoli di auto-conservazione (che del resto in Italia fanno tutti, dipendenti e autonomi, pubblici e partite iva, rendendo l’odio di classe un tema piuttosto attuale).
Non è un caso che nella breve (ma comunque troppo lunga) stagione renziana, dai rinnovati toni “garantisti”, la Magistratura abbia visto crescere esponenzialmente un sentimento anti-PD portando ad imporsi nell’ANM la corrente di Piercamillo Davigo, vecchio nome tutelare di Magistratura Indipendente (gli storici avversari di MD nell’Associazione).

Sia ben chiaro, non intende la presente essere un’apologia della Magistratura italiana visto che qui nessuno è esattamente un sostenitore destre securitarie e borghesi, ma una semplice constatazione storico-politica.
Pur ammettendo che indulti, rallentamenti dei processi, separazioni delle carriere e oggi proposte di abolizione della legge sulla proscrizione in ambito penale, provochino a chi scrive un sentimento che oscilla tra il sarcasmo e il raccapriccio.

 

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