Scuola: meglio chiusa

 

Scuola: meglio chiusa

(Necrologio, parte seconda)

Quello italiano é l’unico caso al mondo di una scuola che smobilita a marzo, senza che si abbiano notizie certe su quando potrà riaprire i battenti, ma lo scandalo é solo per chi – difettando degli elementi che gli servirebbero per stabilire cosa sia una scuola e a corto di informazioni su quale traiettoria essa abbia preso durante l’ultimo mezzo secolo di storia –  teme che questa incertezza riverberi sul futuro della Nazione e su quello di tanti piccoli Italiani costretti a rimanere a casa senza la premurosa assistenza di un insegnante.

Niente di più falso, se, invece di profondere lacrime di coccodrillo sulla morte di un morto ammazzato, si sfrutta questo tempo per cercare di risalire al nome dell’assassino.

Meglio dire: degli assassini. E questo perché, approssimando sulle scansioni, sembrerebbe di poter dire che c’è stata una staffetta. Prima, i corifei del cattocomunismo (due diversi tipi di gas che, messi insieme, uccidono), i quali hanno creato la scuola per tutti sospingendola in basso sino al limite oltre il quale l’ignoranza diventa virtù: la fucilazione alla schiena del’ primo della classe’; l’impoverimento dei curricoli; le promozioni erga omnes indipendentemente dalla qualità del profitto; gli insegnanti declassati a compilatori di scartoffie. Poi, gli apostoli del Pensiero Unico, che hanno preso il testimone dalla mano dei predecessori in tutta scioltezza, perché sono sulla stessa direttrice genetica, gli uni rispetto agli altri.

L’abrogazione quasi totale di materie, un tempo considerate fondamentali per la formazione delle persone, come Storia e Geografia, é, infatti, la prova inconfutabile di un disegno criminale, volto ad espropriare l’essere umano di tutte le coordinate che gli consentono di orientarsi nello Spazio e nel Tempo e, quindi, di riconoscersi come detentore di un’identità precisa, modellata ‘in quel modo e non in un altro’ dal divenire molteplice della Storia, dall’aver trascorso una parte preponderante della propria vita qui piuttosto che lì. Se si esula dall’apprezzamento delle condizioni contingenti (quali quelle legate all’opera buffa di un ministro inesistente, solo l’ultimo della serie), non possono esserci dubbi sul fatto che la sottrazione ai libri scolastici delle pagine dedicate alla storia romana abbia voluto significare –  per le élite mondialiste e per i loro docili esecutori nella pubblica amministrazione – il taglio simbolico delle radici, ma non ce ne sono neppure circa l’eventualità che, ‘oscurando’ la partecipazione eroica dei nostri soldati alle due guerre mondiali, il fine non sia stato quello di eliminare ogni menoma traccia di patriottismo dalla cultura dei più giovani per renderla più ricettiva alla propaganda delle Sinistre. Se tutto tiene, nel senso che non può darsi alcun progetto di riforma della società e dello Stato senza che esso non contempli una proporzionale riforma di ciascuna delle sue parti – principalmente della Scuola – e senza che tale impresa non ricalchi, all’ingrosso, lo schema dei frattali, é evidente come, attraverso la sistematica distruzione dei normali processi di insegnamento-apprendimento, tipici di qualsiasi comunità in cui ci sia già solo un insegnante e un solo alunno, anche nel cuore della foresta o in mezzo al deserto, le elitre siano riuscite ad ottenere il duplice risultato di un’estesa ignoranza e di un’alienazione plebescitaria: tutto ciò che serve per  avere a propria disposizione una massa, liquida, informe, di consumatori obbedienti, di fuchi scemi.

Alla tragedia – che non é esattamente quella della chiusura sine die della Scuola, che non c’è – se n’è aggiunta un’altra, con lo sterminio, da Coronavirus, dei vecchi, specialmente nelle contrade settentrionali del Paese. A parte il cordoglio per le dimensioni bibliche del fenomeno, ciò che conta è che accanto alle pagine strappate dai libri di Storia e ai libri di Geografia portati al macero, è andata via l’umanità che raccontava di quando, un giorno, degli uomini, col cappello di carta in testa, si riunivano nelle piazze per celebrare la festa del lavoro, e spiegava, inoltre, come fosse facile per dei bambini realizzare che mamma e papà non erano dello stesso sesso. Una lunga crepa, uno scarto irrecuperabile per chiunque sia rimasto isolato al di qua del vallo, tra le avvisaglie di un futuro confuso e opaco come uno scarabocchio, e un passato che invece non si legge più, perché lo hanno rimosso.

In mezzo, c’è questo schifo di scuola, a capo della quale hanno messo (nomen omen) una poveraccia che si chiama Azzolina, con la ‘C’ iniziale aspirata, come si usa in Toscana. Il nulla a capo del niente. Da qui, allora, la domanda obbligata: perché vi date tanta pena al pensiero che questa scuola potrebbe non riaprire a settembre, quando sarebbe preferibile che rimanesse chiusa per sempre?

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