Le ragioni di una battaglia da fare
Non è più tempo di improvvisatori; è il tempo delle idee, dei pensieri che si fanno azione; è il momento dell’audacia e del coraggio. Dobbiamo tornare popolo e nazione per liberarci delle fandonie costruite in questi ultimi decenni e riappropriarci della nostra storia, della nostra cultura, presupposto indispensabile per affrontare il cambiamento epocale della società.
Spero che tutto questo possa avvenire senza lutti e sofferenze ma lo ritengo improbabile. Difficilmente chi ritiene l’essere umano merce o, nel migliore dei casi, oggetto per il consumo rinuncerà al suo potere, soprattutto se globalizzato e, nella sua visione personale ma fallace, ormai prossimo alla vittoria finale.
L’essere umano ha al suo interno degli anticorpi naturali, come la coscienza, l’intelligenza e gli innati valori spirituali, che spontaneamente si ribellano all’innaturale società antiumana dove ci vogliono far vivere.
La vita non è il mercato, i rapporti tra gli esseri umani non sono e non possono essere solo mercantili, esiste qualcosa di più alto e nobile per cui vale la pena di vivere e, se serve, anche di morire. Esiste un’innata capacità creativa, molto fervida nel popolo italiano, che va coltivata sin da piccoli, incentivata con le scuole, siano esse classiche o professionali. Bisogna tornare alla cultura del fare che ha donato all’Italia un inestimabile patrimonio culturale che il mondo intero ci invidia e che ci vogliono sottrarre.
Non capiscono, però, che quel patrimonio, senza gli Italiani, vale molto meno perché dalla sedimentazione storica delle radici e dell’essenza stessa del nostro popolo deriva la vitalità di quel patrimonio.
Questo il compito storico che ci attende, importante, perché fondamentale per ricostruire le ragioni del vivere civile e togliere lo scettro alle teorie liberiste, materialiste ed antiumane che si stanno affermando.
Il covid 19 ci ha insegnato quanti rischi vi siano in una società che non è spiritualmente ordinata, quale tragedia si apra quando una religione millenaria è retta da uomini di culto che non credono più nella stessa, quale grande forza di tutela vi sia nel senso della comunità, quanto sia importante avere una classe dirigente competente che dia sicurezza e sappia affrontare politicamente i gravi problemi.
Noi, purtroppo, in questi frangenti abbiamo mitizzato i tecnici, senza capire che i tecnici devono dare solo i presupposti scientifici per le risposte politiche perché sono le idee che rendono grandi i popoli ed i tecnici sono al servizio delle idee.
Due sono stati gli insegnamenti di questa epidemia, sulla cui reale virulenza, forse ora stiamo capendo qualcosa: l’importanza del merito, come unico elemento di valutazione delle carriere in qualsiasi campo, e la necessità di una vera classe politica riconosciuta e riconoscibile.
Il merito è il grande assente nella selezione della classe dirigente nazionale costruita sul clientelismo, se non addirittura passando per i letti o attraverso più inconfessabili complicità.
La politica, poi, non esiste più; oggi in Italia si inventano politici alcuni disoccupati che non sanno cosa altro fare e che, nella migliore delle ipotesi, sono degli affabulatori del nulla.
Occorre, quindi, una grande riforma istituzionale che rimetta l’uomo al centro della vita sociale, che, visto il fallimento dell’attuale carta costituzionale soprattutto per quanto riguarda la partecipazione del popolo tutto alla vita della nazione, sappia introdurre nuove forme attive di utilizzo delle capacità personali per rigenerare uno stato che non sia più il nemico dei cittadini ma ne diventi, nuovamente, il principio organizzatore per la crescita etica, culturale, sociale ed economica di tutti.
Un sogno, forse; sta a noi farlo diventare realtà.