“Dark pools”: il lato oscuro del neoliberismo globale
Qualche anno fa, Hal Berghel – docente a Las Vegas all’University of Nevada –, poneva un interessante quesito, espresso dal titolo dell’articolo: Which Is More Dangerous, the Dark Web or the Deep State? (in «Computer», vol. 50, July 2017, pp. 86-91).
La risposta a tale domanda era certamente complessa e tale rimane, ma una cosa è certa: ormai questi termini sono entrati nel linguaggio comune e sono sempre più spesso usati – e abusati – nelle analisi economiche. Deep Web, Deep State, Dark Web, Parallel Construction, Cybercrime, sono parole che richiamano fenomeni già di pubblico dominio e riflessione.
Vi è però un aspetto poco esplorato, invece, quello dei dark pools, ossia, dei “listini oscuri” nei quali gli operatori di borsa non vedono le proposte di vendita e di acquisto, né i rispettivi volumi. Un trading, insomma, dove le transazioni avvengono in maniera del tutto anonima e le negoziazioni non sono rintracciabili.
Le dark pools – tradotte sovente in italiano col termine “piscine oscure” – sono nate per rispondere all’esigenza dei grandi investitori di concludere accordi, senza innescare un movimento avverso di prezzo: se un investitore ha intenzione di vendere un numero elevato di azioni di una società in una borsa pubblica, deve dichiarare questa volontà, correndo il rischio che il valore del titolo possa scendere per via dell’accresciuta offerta. Le dark pools eliminano questo rischio, annunciando le offerte solo dopo che sono avvenute e limitando l’accesso a tali scambi. Un bel vantaggio, insomma, per chi voglia approfittare delle condizioni create dalla pandemia per speculare nelle borse non solo europee.
Molte dark pools sono di proprietà di grandi banche d’investimento, come Goldman Sachs, Credit Suisse, Barclays e UBS, ma ce ne sono alcune di proprietà di intermediari indipendenti come Liquidnet e ITG.
Le cosiddette “Borse oscure” in tempi di pandemia, non a caso, hanno rialzato la testa: il controvalore di questo tipo di scambi nel primo trimestre 2020 funestato dal Covid-19 è arrivato a 199,73 miliardi. Il 65% in più rispetto riferito allo stesso periodo al dato dello scorso anno. Se consideriamo il solo mese di marzo il rialzo passa al 118%. Dati, quindi, di assoluto rilievo che rischiano di destabilizzare il mercato azionario, rendendo i titoli di borsa meno precisi e i mercati regolamentari meno efficienti.
Il balzo della volatilità delle borse mondiali e la conseguente erraticità dei prezzi hanno indotto gli investitori a operare su queste piattaforme spesso criticate dove le operazioni vengono eseguite lontano dagli scambi. Inoltre, le dark pools si basano sui prezzi forniti da uno scambio pubblico e la borsa ottiene relativamente poca ricompensa per questo. Alcuni exchange possiedono anche i propri spazi fuori borsa, come Bats Chi-X Europe e London Stock Exchange.
Molti analisti hanno denunciato il fatto che permettere importanti deroghe alla pubblicità sulle transazioni offra infinite possibilità a chi vuole non solo speculare, ma anche e soprattutto perseguire scopi non ortodossi. In altre parole, tra dark pools e internalizzatori la trasparenza non regna sovrana.
D’altra parte, queste piattaforme di contrattazione erano nate per far “nuotare” gli investitori in una liquidità elettronica senza permettere al resto del mercato di sapere chi compra e chi vende: un gestore di fondi può inserire un ordine nel pool e farlo corrispondere da un rivenditore con un ordine simile. I prezzi sono pubblicati solo dopo che il commercio è stato portato a termine.
Tra l’altro, ad oggi, sono mercati ancora non considerati sedi di negoziazione ai sensi della Mifid (la direttiva europea 2004/39/CE). Fatto inevitabile questo, visto che essa era stata ideata proprio per creare un terreno competitivo uniforme («level playing field») tra gli intermediari finanziari dell’Ue, senza pregiudicare la protezione degli investitori e la libertà di svolgimento dei servizi di investimento in tutta la Comunità.
Un terreno, però, il quale pare venga meno in tempi di economia liquida che, come tale, preferisce le acque scure delle dark pools alla piattaforma normativa imposta da Bruxelles sulla quale incombe la minaccia di esondazione dell’acqua torbida delle “piscine oscure”.