Nella vita di un uomo vi sono date particolari, date “personali” relative ad eventi, amori, nascite, morti, incontri, e date “politiche” fatte anch’esse di eventi, amori, nascite, morti, incontri. Un rimprovero che i miei affetti più cari mi hanno rivolto, da tutta una vita, è stata di pensare troppo alla politica, rimprovero fatto da genitori, compagne, figli, spesso col tono risentito, di chi subisce un tradimento, perché quell’amore ruba tempo a tutti gli altri. Hanno ragione, da quell’estate del 1979, quando quindicenne salii le scale della locale sede del M.S.I. non ho passato giorno della mia vita senza quell’immagine nel cervello, l’idea di un mondo altro, e la presuntuosa convinzione di poterlo realizzare. A 20 anni, credevo fortemente di poter cambiare il mondo, adesso mi accontento della costatazione che è il mondo, a non essere riuscito a cambiare me, siamo al pareggio, zero a zero, ma abbiamo ancora i tempi supplementari, e poi forse i rigori.
Leggenda narra che tale Fini Gianfranco, segretario del Fronte della Gioventù e poi del Movimento Sociale Italiano, Alleanza Nazionale, etc. iniziò la sua militanza politica grazie ad un film, (inizialmente non era interessato alla politica, ma nel 1968, a sedici anni, si ritrovò coinvolto in alcuni scontri davanti ad un cinema dove un gruppo di militanti di sinistra stava contestando la proiezione di un film favorevole alla guerra del Vietnam, Berretti verdi. Questo episodio lo spinse ad iscriversi alla Giovane Italia, e poi nel M.S.I.), per me la “chiamata” avvenne con un disco, un vinile, ascoltato sino a consumarlo nella radio in cui facevo lo speaker, e non si trattava di faccetta nera (che pure c’era) ma dell’album di Franco Battiato “L’era del cinghiale bianco”. L’adolescenza, l’età in cui la voglia di vivere eguaglia quella della conoscenza, ero fruitore onnivoro di libri, musica fumetti, nel l.p. di Battiato, riferimenti al re del Mondo, a René Guénon, libro acquistato e fagocitato in una notte (per capirlo invece ci sono voluti anni), da Guénon, ad Ossendowski, da Ossendowski ad Evola, da Evola al neofascismo, dal neofascismo al Fascismo, dal Fascismo ai suoi precursori, quei “Fascismi prima di mussolini” che Rodolfo Sideri ci spiegherà anni dopo in un suo libro.
Ho fatto politica in movimenti di “destra” che si vergognavano di essere considerati “fascisti” ma io mi sono sempre considerato un “fascista” che si vergognava di essere considerato di destra. Dell’ideale fascista mi ha sempre allettato la componente di sinistra, quella antimonarchica, anti atlantista, anti sionista, e lì fra quei pazzi minoranza in partiti di minoranza, ho conosciuto grandi “amori”; Beppe Niccolai, Antonio Carli, Tomaso Staiti, Carlo Terraciano, Teodoro Buontempo, Adriano Tilgher, Mario Michele Merlino. Ma può avere ancora senso, definirsi “fascisti” oggi? Ci risponde il Prof. Roberto Mancini: (..) Da oltre 70 anni il termine “fascista” viene usato soltanto in senso dispregiativo, sinonimo di destra, reazione, controrivoluzione, conservatorismo, razzismo, nazionalismo, imperialismo. La parola fascista è sinonimo anche di violenza, autoritarismo. Viene definito fascista chiunque usi la violenza nell’ azione politica. Eppure, se c’ è un fenomeno così studiato male, poco storicizzato e di fatto sconosciuto questo è proprio il fascismo. Nel corso di tutti questi anni passati dalla fine della II Guerra Mondiale abbiamo praticamente sentito di tutto, la storia è stata totalmente manipolata, è stato confezionato un prodotto assolutamente menzognero con l’unico scopo di condizionare gli animi e le coscienze di tutte le generazioni post fasciste. E’ chiaro che in questa maniera si difende questa democrazia parolaia e inconcludente che ha riportato il lavoratore ad uno schiavo, semplice merce di scambio. Una democrazia, che si difende con sempre maggiore difficoltà da una sua irreversibile crisi che comprende un po’ tutti i meccanismi del sistema rappresentativo parlamentare”.
Curzio Malaparte, autore di quel “Maledetti Toscani” più volte citato nel suo “La Pelle” descrive in maniera poetica e tristemente disillusa L’otto settembre. “Un magnifico giorno, tutti noi ufficiali e soldati facevamo a gara a chi buttava più eroicamente le armi e le bandiere nel fango. Finita la festa ci ordinammo in colonna e così senz’armi, senza bandiere, ci avviammo verso i nuovi campi di battaglia, per andare a vincere con gli Alleati questa guerra che avevamo già persa con i tedeschi.” Quell’ armistizio, minerà per sempre la memoria collettiva nazionale. La borghesia italiana perfettamente identificatasi nel Fascismo il 10 giugno del 1940 aveva creduto alla guerra breve, creduto che un pugno di morti e poche settimane di combattimenti sarebbero bastati per guadagnarsi il diritto al tavolo di pace dalla parte dei vincitori. Solo quando la guerra da breve divenne lunga, mutati interessi portarono Corona, Borghesia e Chiesa dall’altra parte della barricata.
Dopo la sconfitta quello che resta del Fascismo, diventa una macchietta, il Neofascismo, a parte per i nomi sopra citati e pochi altri, diventa servo spesso inconsapevole di quel nemico che lo ha sconfitto sui campi di battaglia, la folgorazione del giovane Fini è la fotografia di questa sindrome di Stoccolma, militare in un partito “neofascista” in difesa delle politiche di conquista del paese che solo pochi anni prima ci aveva conquistato. Per fortuna Beppe Niccolai su “Il Rosso e Nero” glorificava la resistenza del popolo vietnamita contro l’aggressione imperialista statunitense. Da allora del Fascismo si sono presi solo gli aspetti folcloristici, i saluti romani, il militarismo, l’anticomunismo, dimentichi che il comunismo è figlio anche lui di quell’ideale socialista unico freno allo strapotere del liberismo apolide oggi imperante, Nel 1936 al termine del vittorioso conflitto etiopico il partito comunista invitò i “fratelli in camicia nera” per una comune battaglia contro il capitalismo e la borghesia. Bombacci morirà accanto al “nemico-amico” Benito Mussolini. A distanza di 70 anni, vediamo i “cugini” ancora belligeranti fra loro, e il comune nemico di allora e di oggi sempre più forte, la dittatura liberista ci sta lentamente privando di ogni libertà, con un condizionamento totale che va dalla snaturalizzazione biologica, sino ad una totale censura di pensiero, e per molti esponenti della cosiddetta “opposizione” la soluzione è sperare in una nuova liberazione da parte dell’amico americano oggi rappresentato da Donald Trump, amico che di fatto dalla “liberazione” precedente non se n’era più andato.
Mussolini ha sempre dichiarato che l’anticomunismo non fu mai preponderante nei confronti dell’antiliberalismo e dell’ antiparlamentarismo.
Dopo l’ otto settembre del 1943 nacque la Repubblica Sociale Italiana si dichiarò subito che il nuovo programma sociale dello Stato Repubblicano avrebbe dovuto segnare una evoluzione del principio corporativo. Il nuovo Stato partiva dal presupposto che il Fascismo repubblicano, doveva essere totalmente rivoluzionario e anti-borghese, che la proprietà privata, quando era frutto del lavoro veniva garantita , ma non doveva mai contribuire alla disintegrazione della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro, si sosteneva la necessità di nazionalizzare tutti i settori chiave dell’economia e la socializzazione delle maggiori aziende private dello Stato. Il bene comune doveva essere preminente rispetto al bene del singolo. Questo era il socialismo fascista, ha senso riproporlo oggi? ha senso oggi continuare a definirsi “fascista” la risposta è fra le righe, legittimamente possiamo anche darsi un altro nome, ma concettualmente al di là del folclore e della narrazione dei vincitori, pare l’unica cosa ad avere ancora un senso.