Sono solo canzonette…

 

Sono solo canzonette

Nietzsche, che amava la città di Genova, riteneva come fosse Cristoforo Colombo il suo genius loci. Quel navigare imperioso e ardito tanto che non è casuale, io credo, l’epiteto de La Superba. E il Mediterraneo e ogni suo porto e verso Oriente, oltre il Bosforo, a caricarsi di grano le stive lungo le coste del Mar Nero e, volgendo la prora ad Occidente e dando vela al vento, superare lo stretto di Gibilterra e affrontando l‘Oceano. Indossando i marinai una ruvida e resistente tela, che rese famoso il suo azzurro particolare, e con il mugugno in gola e a fior di labbra. (Conosco poco la città e me ne dolgo).                                                                                                                                         

Due canzoni di Lucio Dalla mi ritornano a mente e si legano all’immagine di Genova e andare verso il mare aperto – e più e oltre Genova – ho memoria di Lisbona, che si affaccia sull’estuario del Tago e guarda all’Oceano Atlantico offrendosi anch’essa fiera e ardita con i suoi simboli più noti. Cioè la Torre di Belem, là dove prese il mare Vasco de Gama, fortilizio edificato nella prima metà del ‘500, meta d’ogni turista, pronto a fare lunga fila, e il Monumento delle Esplorazioni (eretto nel 1960) con la prua di una nave scolpita e a capo Enrico il Navigatore. Cito entrambi e di entrambi non ho preso, però, visione se non in cartolina. Perché Lisbona rimane, nella storia del mio vissuto, il luogo proibito – simile a un sapore avvertito e mai gustato -, ciò che poteva essere e non è stato, ciò che avrei voluto e non ottenni… Come è scritto nel testo più rilevante del Bushido, l’etica del guerriero del Giappone, l’Hagakure”il vero amore è quello inappagato”. In Strade d’Europa (del 2006) e di recente in Stile Ribelle racconto dell’esito infruttuoso del mio spingermi verso il Portogallo.                                                                                             

Il grande giurista tedesco della prima metà del ‘900, Carl Schmitt, contrapponendo “terra e mare”, rilevava come il termine “porto” rimanda al latino “porta” e una porta si richiude alle nostre spalle ma è, anche e soprattutto, l’apertura verso ciò che offre il mondo esterno. Chi domina il mare e non lo teme, trasformandolo quale spazio da sponda ad altra sponda, è destinato alla vittoria (leggasi l’Impero inglese) – quel fuori da me che mi consente di riconoscermi io rispetto ad un tu altro e diverso. Recita un antico detto tedesco: “Il vento e l’onda sono nelle mani di Dio, ma il timone e la vela nelle tue mani”. Ed ecco il senso perché mi sono dato a scrivere di due canzoni di Lucio Dalla.               

Itaca è del 1971 e dell’anno successivo. Sulla rotta di Cristoforo Colombo. Al Capitano si rivolge un umile marinaio, che ogni giorno ha più paura, che il troppo errare fa sì che la moglie lo creda morto, che in sua assenza nella sua misera casa entrano fame e sete – e tutto ciò in contrapposizione con il rango e i beni del suo capitano, che ha negli occhi la visione d’un navigare curioso di nuove terre e mitici incontri. Eppure… (qualche idiota ha collocato il testo in una antologia contro la guerra!?!) “ma anche la paura in fondo – mi dà sempre un gusto strano – se ci fosse ancora al mondo – sono pronto dove andiamo…”. Nella nostra esistenza, nonostante tutto, abbiamo avuto fortuna magari mantenendo vivo il ricordo. E ci auguriamo di non essere quel pescatore a rammemorare il padre che “mi portò – su una barca senza vela che sapeva dove andare – questa rete è la tua vita manda a fondo tutti i sogni” così che, dismessa l’illusione del navigare, anche se “nel cuore e nei miei occhi ho le stelle – che potrebbero guidare la mia nave in mare aperto” egli finisce prigioniero del porto e “ad invecchiare”… almeno per i nostri figli, per coloro, più giovani, a raccogliere il testimone, liberi e arditi.

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