E’ come quando stai penzolando nel vuoto e uno ti avverte che ti salverà se tu gli darai la casa, la moglie, l’amante e gli ultimi spiccioli che ti sono rimasti sul conto corrente.
Non è un incubo: è il MES, è il Recovery Fund, è l’Europa.
Una matrioska di incubi, perché ce n’è un altro con la faccia di Joker Conte, in cui un Governo, apparentemente italiano, ti annuncia che ti inonderà di soldi, ma poi ti farà morire, distruggendo tutta l’economia del Paese: sulle imprese fulminate dal lockdown si allungheranno le dita adunche dell’usura internazionale, i treni si arresteranno sui binari in piena campagna, come se si fosse inceppato il proiettore del Nuovo Cinema Paradiso. Si accenderanno le luci, e qualcuno dirà che se ne parlerà per un’altra volta, il cinema chiude.
Ma il film è vecchio. I titoli di testa cominciano a scorrere sullo schermo fin dal lontano 1924, quando sullo sfondo del delitto Matteotti si azzuffano le ombre cinesi dello statalismo puro e dell’impresa privata. Uno sfondo fatto di solfeggi dimostrativi, di appunti disordinati, di pagine coperte di appunti e di cancellature: tutto ciò che precede e che annuncia la stesura del testo definitivo, la scelta degli attori, l’ambientazione perfetta.
La ricerca di un denominatore comune tra tutti i conflitti che sono divampati dopo il ’45, per quanto sia velleitaria, un risultato forse l’ha ottenuto: é stato quello di scoprire che in due casi e mezzo su tre, essi sono dipesi dall’insofferenza del Grande Capitale verso i Paesi in cui lo Stato accampava la pretesa di assoggettare l’Economia e, comunque, di realizzare con l’iniziativa privata un compromesso dignitoso.
Ciò è successo con la ex Yugoslavia, annientata dai Clinton e dai comunisti italiani che si erano già consegnati alle élite. E’ successo con Saddam. Si potrebbe sostenere la stessa cosa di Ceausescu, se non fosse per qualche remora di carattere morale – un dittatore un pò ottuso – che disturba la statistica, facendone risalire la fine ad una sollevazione popolare, che di popolare aveva solo la narrazione, sotto forma di un romanzetto d’appendice.
In Libia, nel 2011, la martingala degli eventi recupera la sua logica, rafforzandola, però, con un elemento che chiarisce molte idee su come l’Italia sia diventata, nel giro di qualche decennio, una filiale dell’Europa franco-tedesca (un remake del Sacro Romano Impero) e una concessionaria del Nuovo Ordine Mondiale.
Allora, l’esame consistette nel riuscire a bombardare i propri interessi in Libia, per rafforzarvi quelli francesi e americani, con la scusa di esservi andati per impartire una lezione di bon ton a Gheddafi.
L’esame fu superato in modo brillante, con tanto di lode e bacio accademico, ma la strada che l’Italia aveva fatto per conseguire tale traguardo, era intrisa di sangue. Avevano dovuto uccidere Mattei per farle capire che per rifornirsi di petrolio e di energia era obbligata a passare, tra Londra, Washington e Parigi, col piattino in mano. Avevano fatto fuori Moro, perché, al di là delle formule, che possono essere realistiche o fantasiose, ciò che contava era affermare, una volta per tutte, il principio, che l’autodeterminazione di Roma, chiunque vi andasse per governare, era pari a zero. Avevano costretto all’esilio, con un cancro addosso, Bettino Craxi, buon’anima, perché diffidava dei ‘conticini’ redatti dai pizzicagnoli dell’Unione Europea, la matita sospesa dieto l’orecchio, gli occhiali da vicino sempre incollati sulla punta del naso, e perché, inoltre, il suo patriottismo, da garibaldino tardivo, a certa gente faceva letteralmente schifo.
Per la verità, nel leggere le carte della CPI sull’affare “Solo”, relativa ai fatti del 1960, zampilla il sospetto che il presidente Segni si fosse lasciato suggestionare dai toni minacciosi delle carte che gli arrivavano da Bruxelles, carte nelle quali si parlava di uno sforamento di bilancio provocato dagli investimenti statali nell’edilizia popolare, e si esprimeva viva preoccupazione per gli eccessi di welfare commessi dal Centro-Sinistra: per gli studiosi un invito ad andare ancora più a monte, nella ricerca del momento preciso in cui l’Italia è stata messa all’incanto, un tanto al chilo, l’inizio del big bang.
Più facile che ci si metta d’accordo su quando tutto questo è finito.
Di terrorismo non si sente più parlare dalla fine della Prima Repubblica. Non più bombe. Non più esecuzioni in mezzo alla strada. Calma piatta, proprio adesso che il Paese sta col culo per terra e rischia di rimanerci per sempre. La mafia si sta facendo il trucco nel camerino. Sparita.
Sarà forse che con l’avvento di questa classe politica, composta da analfabeti e da servi, tutto ciò che c’era da fare, s’è fatto. Sarà che l’officiante ha già pronunciato, da chissà quanto tempo, la fatidica sentenza “ite, missa est”, e noi che stavamo con la testa da un’altra parte, non ce ne siamo neppure accorti. Domando. E’ una domanda.