Rimango nelle brume del Nord là ove il grigio rende indistinte le forme il verde cupo dei boschi l’onda imperiosa contro la roccia il sentiero scivoloso e cosparso di foglie il silenzio compagno fedele uomini e donne severi parchi nel gesto e nella parola. In questi giorni di caldo torrido di asfalto, questo, di un grigio sporco di mascherine di un incedere incerto e sguardi diffidenti del Mediterraneo che, dimentico d’essersi reso mare nostrum, ora s’è arreso a confine di deserto di voci le più stridule e false di paure costruite di colori che, esangui ormai, non danno alle forme il rigoglioso tratto della bellezza. Fu fiorente culla di civiltà di castelli e di vigne di chiese chiostri giardini viuzze lastricate dal ciottolo rotondo di banchi di frutta di stoffe e artigiani maestri nel modellare metalli e legno di risate squillanti e sguardi languidi e sensuali nelle movenze del corpo simile a passo di danza. Il Nord era altro ed altro il Sud. Le strade d’Europa il miracolo sempre rinnovato d’essere, al contempo, percorsi nella differenza e nel comune sentire. Fin dagli esordi, quella Santa Romana Repubblica, che volle e seppe e si tradusse e si forgiò tramite, ad esempio, Carlo Imperatore Magno. Aquisgrana come Roma – sepolcri a vincere il tempo.
Oltre monti e fiumi e foreste e deserti e, il timone e la vela spiegata, oltre il mare e la vastità sconosciuta degli oceani. Avventurieri mercanti briganti, animo da animali da preda, così diedero la civiltà, a filo di spada se occorreva. Versarono del sangue, il proprio e quello del nemico – rosso per entrambi – ed edificarono strade città porti. Ben prima ed oltre ‘il fardello dell’uomo bianco’. (Ricordo una scritta nei cessi della facoltà di Magistero occupata, piazza dell’Esedra. Recitava, più o meno: ‘Un tempo gli uomini vivevano nella pienezza e nella gioia dell’animo e del corpo, poi vennero Gesù e Marx e Freud e scoprirono il senso di colpa’ – qualcosa vi aggiunsi in nero con un pennarello).
Il ritorno e il risguardo quel sentimento della nostalgia che Martin Heidegger traduce con il tornare a casa con dolore… forse perché ormai vuota perché troppi furono i predoni a devastarla. Vento dell’Est, oltre gli Urali occhi a mandorla; onde furiose da oltre l’oceano i barbari a stelle e strisce. L’Europa, la nostra Europa, immensa e rossa e devastata tra le macerie di Berlino, il bunker della Cancelleria, o lungo la spalletta del lago di Como. (Lettera alla madre la notte antecedente la fucilazione, diciannove anni, sabotatore oltre le linee alleate, Sant’Angelo in Formis, aprile ’44. Lettera che è poesia, dolorosa e rasserenante al contempo. Altro che i nostri alunni sgrammaticati e piatti. Franco Aschieri conclude: ‘Viva l’Europa! Viva il Fascismo!). Se avessi osato portare il passo ancora avanti e lo sguardo oltre avrei colto, fugace attimo magari, l’aurora boreale, chissà? Forse Apollo Iperboreo e la veggente dalle rune magiche e Thor dal martello possente si sarebbero levati e… avrei avuto, avremmo avuto tutti noi, altra storia a cui affidare il cuore e la mente. Eppure siamo e vogliamo essere qui, sebbene consapevoli che il rischio dei ricordi è rendere finito il presente.