Un’emergenza nazionale: la scuola

    

Un’emergenza nazionale: la scuola

Mai come in questi mesi in Italia si è parlato e si parla tanto di scuola. Ovviamente, non per affrontare gli autentici problemi, ma per discettare di banchi con le rotelle – almeno quelli, visto che le rotelle difettano ai cervelli dei nostri politici – o di forniture di dispositivi di protezione e quant’altro l’emergenza pandemica ha reso di triste e stanca quotidianità. I veri problemi del sistema educativo italiano si annidano in luoghi che il virus non riesce a raggiungere e a stanare e che anzi contribuisce a far ristagnare nell’ombra.

Si è già visto come la “promozione di cittadinanza” abbia avvicinato la scuola al mondo sognato dalle sinistre: una decrescita infelice, una vita sociale azzerata e un’esistenza sostenuta da elargizioni statali in modo da rendere alla radice impossibile qualunque contestazione del sistema vigente. L’immissione in massa nella scuola di docenti, si immagina di ultima generazione, se avrà da un lato l’aspetto positivo di annullare, almeno per qualche tempo, le classi pollaio realizzate negli ultimi decenni dalla destrutturazione sistematica del sistema educativo, permetterà di far salire in cattedra una generazione di docenti figli essi stessi della scuola che li ha formati (si fa per dire) alla negazione dell’autorità, all’egualitarismo falso e cialtrone che non può che livellare verso il basso, al rifiuto dell’impegno disciplinato. Una scuola che non può che perpetuare privilegi sociali e aumentare il divario tra chi può permettersi un’educazione seria, magari all’estero, oppure “comprarsi” il diploma in qualche diplomificio privato, e chi è costretto a frequentare i corsi di umanitarismo alla Greta, finendo per diventare inevitabilmente gretino.

Come ben sapeva Gramsci, infatti, il proletariato – per usare una categoria ormai antiquata – è quello che maggiormente si giova di una scuola severa e selettiva. Chi è economicamente svantaggiato, ma intellettualmente e volitivamente dotato non può che auspicare una scuola pubblica e selettiva che consenta il possesso di un titolo di studio – che in Italia ha ancora valore legale in quanto rilasciato dallo Stato – solo a chi ne è davvero meritevole. E invece, come il resto del Paese, anche la scuola è ormai invasa da quella che Hegel chiamava la “pappa del cuore”, dove ciò che conta sono solo i disagi famigliari e dove i problemi di apprendimento vengono medicalizzati per non essere mai superati. La scuola si è riempita di sigle – Dsa, Bes, Pdp, Pei – che indicano l’organica impossibilità degli studenti di apprendere allo stesso livello degli altri. Non esiste più l’allenamento costante della volontà e dell’intelligenza, ma solo diverse modalità di insegnamento/apprendimento, che alla fine non sono altro che una sorta di licenza alla promozione garantita.

Come il resto del Paese, anche la scuola ha finito per essere abitata, per volontà di un sistema che da questo ha solo da guadagnare, da persone deboli e fragili che hanno bisogno del sostegno dell’assistenza pubblica.

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