Centenario della “Carta del Carnaro” elaborata dal sindacalismo rivoluzionario

 

Centenario della “Carta del Carnaro” elaborata dal sindacalismo rivoluzionario

Esattamente cento anni fa, a Fiume – “città libera” governata dal Comandante Gabriele d’Annunzio che l’aveva occupata con i suoi “Legionari” per poterla unire al Regno d’Italia, vittorioso in guerra ma umiliato in pace – fu presentata alla popolazione una Costituzione che è stata definita, dal nome del braccio di mare Adriatico che costituisce il golfo di quella città – “Carta del Carnaro”.

Di questo documento ce ne sono due redazioni: la prima è quella elaborata dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris, e l’altra è quella rivista – con gli stessi contenuti ma con il suo stile aulico – da Gabriele d’Annunzio.

In questa sede, intendiamo ricordare i contenuti del primo testo, molto più preciso dal punto di vista della tecnica costituzionale che peraltro è quello che maggiormente indica il contenuto sociale, rivoluzionario per quei tempi.

De Ambris, insieme al fratello Amilcare, è stato tra gli esponenti del “sindacalismo rivoluzionario” sorto presso la Camera del Lavoro di Parma ad opera di Filippo Corridoni, con la costituzione della Unione Sindacale Italiana poi divenuta interventista nella 1^ guerra mondiale. E Alceste partecipò alla spedizione fiumana proprio perché era stato, allo stesso tempo, nazionalista interventista e sindacalista.

Rileggendolo oggi, quel documento manifesta da un lato la sua originalità per i tempi in cui è stato composto e dall’altro la sua attualità. Ci sono delle affermazioni che ancor oggi figurano, spesso con le stesse parole, nella nostra Costituzione, a cominciare dall’art. 1 che riecheggia l’art. 2 della Carta del Carnaro: “il lavoro è la base della democrazia della Repubblica” (de Ambris era repubblicano mazziniano, e per questo motivo si allontanò dal fascismo divenuto monarchico) e“la sovranità collettiva appartiene a tutti i cittadini”. Sempre nello stesso articolo, si parla di attuare “il decentramento dei poteri dello Stato” cosa che all’epoca era rivoluzionaria visto il rigido accentramento monarchico di matrice piemontese e sabaudo: ricordiamo che il vero decentramento in Italia è stato realizzato solo nel 1970 con la nascita delle Regioni, e nel 2001 con la modifica costituzionale sulla distinzione dei poteri.

L’art. 5 della “Carta” prescrive che il lavoro “sia compensato con un salario minimo sufficiente alla vita, con l’assistenza in caso di malattia o involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia”. Oltre alla cospicua legislazione fascista su queste materie, ricordiamo che la Costituzione attuale le prevede agli articoli 36,37,38.

Riguardo alla proprietà e alla libertà imprenditoriale, nella “Carta” si afferma agli articoli 6 e 9, dopo aver stabilito che “l’esercizio dell’industria è libero” anche che “la proprietà deve essere considerata come una funzione sociale”: ebbene, queste stesse parole si ritrovano nella nostra Costituzione all’art. 42, mentre all’art. 41 (che i “liberisti” vorrebbero sopprimere) è prevista la limitazione della proprietà industriale nell’interesse nazionale. 

Segnaliamo in particolare l’art. 8, laddove si afferma che “una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta moneta”. Ebbene, ricordiamo che nel 1920 l’Italia aveva ben tre banche di emissione, con un’inflazione assai elevata causata proprio dall’incontrollata emissione di carta moneta. Il fascismo riordinò la materia nel 1926 nel senso indicato dalla “Carta” assegnando tale potere solo alla Banca d’Italia, divenuto istituto di diritto pubblico. Oggi, sono recenti le polemiche sul ruolo della Banca d’Italia, il suo assoggettamento alla Banca centrale europea, l’assenza di controllo da parte dello Stato. Da segnalare anche che la Costituzione italiana nulla dice in merito: quindi, quell’articolo 8 mantiene intatta la sua validità!

Per quanto riguarda i sindacati, de Ambris concepì la loro divisione in “Corporazioni” ciascuna dedicata allo stesso tipo di attività. Com’è noto, il fascismo recepì questa indicazione e realizzò le Corporazioni nel senso indicato da de Ambris. Ma realizzò anche un altro aspetto previsto dalla “Carta”: gli articoli 20 e 23 affermano che “il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Consiglio Economico”. Mentre la Camera veniva eletta dai cittadini d’età superiore a 20 anni (altra innovazione dell’epoca, ancora non attuata!), il Consiglio Economico veniva eletto dalle Corporazioni in misura predeterminata rispetto alla consistenza delle categorie economiche rappresentate.

Il Fascismo, dopo aver realizzato il confronto permanente sulle materie del lavoro ed economiche tra datori di lavoro, sindacati e governo all’interno delle Corporazioni, solo nel 1939 decise di attribuire loro formalmente il potere legislativo istituendo la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. La nuova Costituzione italiana, non potendo ignorare del tutto questo importante innovazione, si limitò a costituire un “Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro”: poiché però i sindacati (e le associazioni datoriali) egoisti e classisti non volevano rinunciare al loro presunto potere d’influenza politica, quel Consiglio non ebbe poteri e vivacchia esprimendo pareri che nessuno prende in considerazione.

Ci sarebbero molte altre cose da dire riguardo ai contenuti della Carta del Carnaro: qui ci siamo limitati a indicare quelli riguardanti gli aspetti sociali ed economici.

Ma la rilettura di quel documento ci mostra l’elevato livello della concezione statale e sociale posseduto dai sindacalisti rivoluzionari dell’epoca, forgiatisi nelle dure battaglie sindacali con arresti, condanne, esili e nelle cruente battaglie nelle trincee, dover scomparve il loro capo, l’”Apostolo del lavoro”, Filippo Corridoni, In questi anni di decadenza, essi – e i loro documenti – ci appaiono dei giganti del pensiero e dell’azione.

Torna in alto