Elogio dell’intolleranza

 

Elogio dell’intolleranza

Talvolta avviene che, nel mettere i piedi a terra, dopo aver dormito tutta la notte, si affacci alla mente, insolente come un display, e inattesa come una scaglia di legno che sia risalita dagli abissi, una parola semplice semplice che ti cambia il modo di vedere le cose: una password, la bandiera quadrettata che ti fa ripartire da dove ti eri fermato, in preda ad una  perniciosa confusione.

Mi ero assopito pensando a quale sia l’agente che, alle nostre latitudini -che sono quelle di un comune abitante dell’Occidente – ci fa decomporre prima ancora di essere morti, e cosa metta le buie profezie di Spengler nelle condizioni di compiersi, e mi sono risvegliato di buon mattino con la parola TOLLERANZA che batteva forte come un’infiammazione. Quindi, ho realizzato. Ho visto. Deve essere stato così anche per Saulo mentre galoppava a briglie sciolte verso Damasco, la caduta, apparentemente rovinosa, che ti cambia la direzione e la vita.

TOLLERANZA, in effetti, è la spia di una malattia autoimmune, che ha per sovrammercato il difetto di essere contagiosa. Infilarsi, con la pelle bianca, in un corteo del Black Lives Matter, mentre i manifestanti incendiano le proprietà dei bianchi e sospingono la suola delle loro scarpe sulla testa di una vecchietta inerme, solo perché il colore della sua pelle differisce troppo dal nero, è un’anomalia che si spiega solo con la diffusione a raggiera di questo morbo, la TOLLERANZA – antico e nuovo insieme – che ti costringe, ignaro e al tempo stesso partecipe, a farti male da solo.

Sei un autolesionista se, da buon cristiano, ti presenti ogni santa domenica in piazza San Pietro per sentire cosa dice il Papa, come se colui a cui hanno conferito (per errore?) questa qualifica   non avesse già detto, parlando di Cristo – che ‘non era uno scemo’ e aveva tra tutti ‘le mani più sporche’, e come se coi suoi reiterati silenzi a tenuta stagna non avese già commentato la persecuzione dei cristiani nelle terre soggette all’Islam, e non si fosse espresso, a chiare lettere, sulla destinazione ad altro uso del complesso di Santa Sofia voluta da un dittatorello da strapazzo chiamato Erdogan. 

Il paradosso – perché qui ce n’è uno grande come una casa -. è che molti di noi si sono fatti cristiani senza aver mai giocato a rubabandiera nel cortile dell’oratorio perché erano rimasti colpiti dalla raccomandazione evangelica a ‘porgere l’altra guancia’, cioé la destra, per impedire all’aggressore di fargli male più facilmente colpendolo su quella sinistra: la straordianaria bellezza di un artificio dialettico (o di una finta sul ring?) in cui non c’è ombra di sottomissione o di resa. Ma qui si è voluto andare più avanti’ e più in la’ deragliando sapendo di deragliare, la complice indulgenza del concavo verso il convesso, tutt’altra cosa.   

Non si sarebbe, del resto, potuto credere che nel 2020 i patrioti ammassati sui moli per protestare contro l’invasione fossero ricacciati indietro dalle forze dell’ordine per far passare gli invasori: come se sulla sponda destra del Piave, nel ’17, gli arditi avessero fatto argine coi propri corpi e con le proprie baionette contro altri italiani per consentire ai crucchi di dilagare. Non colgo alcuna differenza, tranne quella – del tutto aleatoria – che oggi, dalle acque intorno a Lampedusa arrivano migliaia di nordafricani, ma senza armi: neppure i crucchi – è l’eccezione che viene da sé – si sarebbero presentati armati alle porte di Caporetto se avessero immaginato di trovare sulla loro strada qualcuno più compiacente di Badoglio, con un mazzo di fiori in mano.

Ciò che, dunque, fa la differenza tra un’invasione e  un qualsiasi altro spostamento di moltitudini verso casa nostra non è tanto la presenza, o no, di armi, quanto quella di una partecipazione, di un invito, che in questo caso non c’è, tranne – ma è evidente – che non l’abbiano ricevuto da questo Governo, la cui dipendenza da altri poteri è attestata in maniera incontrovertibile dai monopattini di Toninelli, dalle allucinazioni di Conte, dai banchi girevoli dell’Azzolina e dalla pista ciclabile sullo Stretto che riempie di sudore il sonno difficile di uno  zero spaccato come la De Micheli.

La TOLLERANZA é figlia del buonismo, che, a sua volta, è generato dal relativismo: una chilometrica martingala che inizia con l’abrogazione di qualsiasi ordine di priorità negli aggregati formati dalle persone e dalle cose, e, quindi, col divieto assoluto di esprimere dei giudizi di merito su come esse si comportano nel relazionarsi tra di loro. Che continua con la cancellazione dei valori identitari. E che finisce con l’essere tolleranti nei confronti di tutte le diversità, soprattutto quando fanno male e, nel migliore dei casi, non fanno bene.

Si è imposto in Occidente, e massimamente in Italia, un modello di società, al centro della quale c’è una maggioranza silenziosa e imbelle contro la quale le minoranze, divenute una costellazione e un cartello, si sono coalizzate per vincere: nel fare coming out i diversamente maschi, i diversamente bianchi, i diversamente intelligenti hanno lanciato la sfida. Nel sommarsi prevalgono: diventano loro la maggioranza. Una babele sterminata. L’alfabeto invertito propone l’omega al posto dell’alfa, prima il caos, poi la pialla, che é lo strumento al quale faranno ricorso gli architetti del NWO dopo essersi disfatti della squadra e del compasso, che non servono più.

La situazione – indubbiamente grave – può tuttavia essere raddrizzata: a patto che l’uomo normale, l’uomo vitruviano, con tutte le misure e gli organi al posto giusto, si sporga urlando dal davanzale e faccia anche lui coming out dichiarando ai quattro venti che da lì in poi non sara’ più tollerante, che non ce ne sarà per nessuno.

Solo così.

 

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