Io dico NO

 

Io dico NO

Paniere elettorale ricco il 20-21 settembre, referendum abrogativo o confermativo della legge costituzionale sulla riduzione del 36,5% di deputati e senatori, uno scampolo sardo-veneto per il Senato, sette regioni  chiamate al rinnovo delle loro Amministrazioni, idem per circa 1000 comuni, un’abbuffata di schede e croci, sotto l’occhio mefistofelico dell’invisibile COVID-19.

Se questa campagna elettorale fosse la Vespa di vacanze romane, diremmo che procede a folle, non entrano le marce, si spinge il veicolo coi piedi, in un clima di terrore per gli untori asintomatici, i Galli tremolanti, Berlusca-Zangrillo, con un Paese in stato d’ emergenza soprattutto economica. Sta nella  camera d’intubazione della BCE perché senza l’ossigeno di Recovery fund, MES, muore, con un PIL in picchiata come la temperatura invernale di Bolzano, la cassa integrazione a gocce  tipo  Valium. Beh, in questo contesto da speriamo che ce la caviamo,  gli stufati della politica ci risultano indigesti, almeno di questa politichetta partorita da omini piccini, piccini, bottiglie vuote di idee, progetti, soprattutto virtù e valori.

Intanto lo Stato condominio è in agguato, spedirà 9 milioni di cartelle esattoriali del croupier Agenzia delle Entrate, rien ne va plus, il banco vince,  rastrella tutte le fiches nonostante le entrate fiscali siamo aumentate del 9%, un’autentica trasfusione di sangue al Mef, cronico d’anemia verde, squattrinato, scrofa dall’infinito appetito per ingrassare i suoi piccoli fedeli nella rolla.

In questo clima pecoreccio da saga paesana, con un premier mai eletto in cerca di consensi al festival dell’Unità (!), un’Azzolina a Porta a Porta, Giggino-Giggetto senza slip al mar con la sua bella, Zingaretti crociato contro l’antipolitica, l’opposizione migliorista guardia costiera a Lampedusa, il governo rosso-fucsia, cala sul tavolo il referendum pop per sforbiciare il Parlamento.

Era il 1962, Governo di centrosinistra, premier A. Fanfani, quel piccoletto convinto corporativista, affascinato dalla mistica di Niccolò Giani, allorché venne regolato il numero, fin’ allora ballerino, di deputati e senatori, 630 i primi, 315 i secondi, totale 945, troppi? La Bundestag ne conta di più, idem il “Padre di tutti i parlamenti”, quello inglese perché più rappresentanza dei territori è più democrazia non il contrario.

Invece i grilli giacobini con Alberto da Giussano, scrivono nel contratto, ve lo ricordate? Urge una riforma ghigliottina del numero di teste parlamentari, perché? Bisogna risparmiare anche sulla democrazia, 100 milioni di euro, una caccoletta nel bilancio dello Stato. Ma un Parlamento smilzo sarà più efficiente, rapido e soprattutto invisibile come i sommergibili, nelle segrete stanze i pochi “eletti” potranno inciuciare a più non posso con le alte sfere della finanza internazionale, le lobby che già adesso scrivono il Def, calpestano i diritti delle api operaie, aborrono i contratti nazionali, inginocchiano i lavoratori davanti al santino del padrone che non ha un volto ma un logo aziendale.

Coi sindacati anestetizzati, assai simili a quelli sovietici, il popolo dei paria non ha rappresentanza né in fabbrica, scuola, ufficio tranne il diritto a una crocetta per un candidato ogni 100.000 abitanti, selezionato dall’occhio scaltro del partito, dai poteri che contano e da un ricco conto in banca.

Corsi e ricorsi storici, se la legge di riforma costituzionale passa, a ben guardare vince la proposta della Commissione parlamentare istituita da Massimo D’Alema, al tempo (1997-99) Presidente del Consiglio, n. dei deputati tra 500 e 400, n. dei rappresentanti locali 200, nei numeri diremmo un copia e incolla sul testo approvato nell’ottobre 2019 a larga maggioranza (sic!), già riproposto dal PD nel 2008 a firma Luigi Zanda, restava però il bicameralismo, pietra d’inciampo del governo Renzi come lo fu del “patto della crostata”.

Crediamo, perché tempi e condizioni ce lo impongono, che il Piave stia a difesa e attacco per mantenere ciò che abbiamo e da lì poi conquistare nuovi, più ampi spazi di democrazia, non arretrare di un passo al fronte consapevoli che cedere vuol dire il trionfo dell’imperialismo globalista.

L’area variegata, polimorfa chiamata con vaghezza “destra” o prende coscienza che l’attuale grande battaglia è la conquista di più democrazia, anzi è in gioco la democrazia stessa o ripiega sull’isola deserta del passato, onanismo di ricordi invecchiati con la carne, più ordine meno immigrati e tutto è a posto.

NO, non è questa, almeno per chi scrive, la frontiera, perciò un NO ben crociato al referendum, tra l’altro forse unica vera boccia per far saltare al bowling i birilli del Governo, diciamo forse perché ballano 209 miliardi e chi si vanta d’averli ottenuti certo non molla.

 

Torna in alto