Scuola di Pensiero Forte [84]: dalla comunità alla società: il Bene comune
Il primo argomento che ci occorre trattare, riprendendo i capitoli precedenti della nostra Scuola, è come avviene il passaggio dalla comunità alla società. Stiamo parlando di un passaggio a livello concettuale, che si formalizza per convenzione di studio, perché è piuttosto ovvio che gli esseri umani non hanno compiuto un passaggio spazio-temporale alla società dal precedente stadio della comunità, così come non è avvenuto per il transito da famiglia a comunità. È importante chiarire questo aspetto poiché talvolta può succedere di cadere nell’errore di una astrazione idealizzante delle dinamiche umane, le quali sono, invece, estremamente complesse e profondamente radicate nell’uomo stesso, tanto che è impossibile non considerare il contesto ambientali e gli elementi soggettivi di ciascun evento che si prende in analisi.
Per prima cosa, ci chiediamo cosa sia la società. La società, dal latino societas, è ogni insieme di individui uniti da rapporti di varia natura e in cui si instaurano forme di cooperazione, collaborazione, divisione dei compiti, che assicurano la sopravvivenza e la riproduzione dell’insieme stesso e dei suoi membri. Essa consta inoltre di un sistema organizzato di rapporti naturali, culturali, economici, politici e dallo stanziamento su un territorio; i suoi membri condividono alcuni comportamenti stabilendo delle relazioni reciproche, al fine di costituire una struttura volta al raggiungimento di un fine condiviso.
All’interno della definizione esposta è facile individuare gli elementi essenziali della società, nonché quelli che ci svelano il significato del passaggio dalla comunità alla società. L’uomo, unitosi in un gruppo organizzato come quello della comunità, ha bisogno di crescere ed espandersi, di allargare i propri orizzonti e le proprie attività, di raggiungere gli scopi desiderati in maniera sempre più perfetta e soddisfacente. Questo è possibile aggregandosi con altri simili, i quali condividono i medesimi intenti e accettano di cooperare, riconoscendo quindi la presenza di un Bene comune. Questo è il nucleo della vita associata delle persone, il fulcro attorno al quale prendono forma tutte le altre dinamiche umane e le loro rispettive tipizzazioni: il bonum communis, come lo chiamavano gli antichi, è il fine ultimo verso il quale tende ogni persona, e ancora di più, in maniera consequenziale, la società intera, in quanto insieme dei beni singoli. Questo Bene, con la B maiuscola, è valore assoluto e criterio di ordine e giudizio. È, in poche parole, elemento costituivo della politica, che è appunto prendersi cura del Bene comune, nonché sorgente della cultura e di tutte le attività umane. Si tratta di un bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate, richiedendo dunque di essere riconosciuto e accolto. La società organizzata esiste proprio in funzione di quel Bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato, e da ciò prende forma anche tutta la dimensione etica e spirituale della società intesa come ente a sé. Vedremo più avanti le implicazioni di tutto questo, anche se già è facile intuirne gli interessantissimi risvolti.
Il fatto che vi sia un fattore morale-spirituale al principio dell’agire umano, ci ricorda quanto già affrontato in precedenza nei volumi primo e secondo di questa Scuola: la persona umana è un essere razionale di natura spirituale, che trascende dunque la materialità e se stesso, e il suo valore, che identifichiamo come dignità, è fondato ontologicamente, cioè nel suo stesso essere, non su elementi esterni. Il Bene comune è un soggettivo, nella misura in cui è il mio bene, come persona singola, ma è anche oggettivo in quanto condiviso, comune appunto, unito a quello degli altri membri dell’ampio gruppo di cui faccio parte che si chiama società. La struttura fondante della società è, per definizione logica, solidale e cooperativa, ha bisogno di tutti, nessuno escluso, è impregnata del valore inestimabile di ogni suo componente e non può prescindere da ciò, pena il venire meno del suo carattere di perfezione. Questa perfezione è rintracciabile nel fatto che la società è la forma migliore di vita per l’essere umano, in quanto permette una maggiore e più sicura realizzazione dei fine ultimo, nonché del soddisfacimento dei bisogni, cosa che invece è meno accessibile se si persegue una vita isolata o in un ristretto gruppo di individui. Comprendiamo inoltre che la società agevola anche l’evoluzione individuale dei suoi membri, evolvendosi essa stessa simbioticamente con essi: quello che la persona può vivere nella società, come ad esempio l’istruzione, l’acculturazione, la spiritualità, l’espressione dei propri talenti, la coscientizzazione e molto altro ancora, non lo può ugualmente vivere in un ristretto ambiente, dove sono statisticamente inferiori le probabilità di una multiforme tipizzazione del contesto e delle dinamiche relazionali al suo intero (un dato, questo, molto caro ai sociologi e agli storici, che facilmente possono spiegarci come le civiltà con maggiori contatti ed espansioni siano anche quelle che hanno avuto uno sviluppo maggiore ed una evoluzione più sostenuta).
Teniamo bene a mente, dunque, il centro della questione, perché lo troveremo sempre come denominatore comune del nostro studio.