Sto leggendo il libro di Rodolfo, Con Mussolini ed oltre. 350 pagine dense di valenze filosofiche (la prima parte è lettura ostica, immagino, per chi sia digiuno di linguaggi specifici di Giovanni Gentile e della filosofia in sé. Vale, però, la pena inoltrarsi per dei sentieri aspri e in ascesa anche se, per dirla con Heidegger, si possono risolvere in ‘sentieri interrotti’), di contenuto assolto in profondità e citazioni a rafforzarlo e di critica dei tanti che, a vario titolo, si sono approcciati all’Attualismo. Agli esordi di questo millennio Massimo Cacciari invitava, ad esempio, a ripubblicarne le opere di cui avvertiva la superiorità rispetto a quelle del Croce, che la casa editrice Adelphi si era ripromessa di fare. Un filosofo che ha ancora tanto da dirci e donarci contro ogni imbelle e sciatta pretesa dell’ora. Quel ‘colore grigio della vergogna’ come definiva, con felice immagine, Mario Castellacci il suo assistere allo sbando alla viltà di quell’8 settembre del ’43 dove lo Stato e la Nazione e la Patria caddero in ginocchio per non più rialzarsi, nonostante il belare osannante e menzognero di coloro che, lesti, erano saliti sul carro dei vincitori.
Una esistenza spesa tutta nello sforzo di mostrare la identità del pensare con il fare perché il primo non si ripieghi in sterile visione di chi resta alla finestra e, pavido, si risolve a descrivere il mondo e lo scorrere del tempo (Rodolfo correttamente prende le mosse dallo studio su Marx, le Tesi su Feuerbach, con l’esplicito richiamo al nuovo ruolo del filosofo quale agente del cambiamento, di cui però Gentile rileva l’errore per averlo addebitato al materialismo che nulla ha a che vedere e può con la vita in atto dello Spirito. Esistenza e coerenza che lo portano fino a cadere sotto il piombo della guerra civile, di una esecuzione stupida e rancorosa, di cui è consapevole fin da subito e a cui non può né vuole sottrarsi per non rinnegare sé stesso e la sua opera (leggasi l’incontro con lo studioso Mario Manlio Rossi ne La ghirlanda fiorentina di Luciano Mecacci ove gli ebbe a dire ‘ora ho completato la mia opera. I vostri amici, ora, possono uccidermi se vogliono. Il mio lavoro di tutta una vita è finito’, dopo avergli mostrato il manoscritto di Genesi e struttura della società, uscito postumo). E qui mi fermo anch’io per ritornarci, probabile, in altra occasione.
La seconda parte ha un carattere più ‘storico’ – come e quanto il postfascismo o lo si voglia definire (il sottotitolo riporta ‘destra postfascista’) si sia confrontato ne abbia raccolto l’eredità si sia posto in contrasto e in conflitto. Basti pensare all’influenza esercitata da Evola che di Gentile era critico severo. In questo contesto Rodolfo si ricorda e sintetizza la conferenza all’università di Sassari da me tenuta, aprile 1994, nel cinquantesimo anniversario del suo assassinio (poche righe che gratificano la mia vanità)… Un vuoto che andava riempito e che dimostra come l’area (termine questo più familiare a chi ha vissuto o soltanto attraversato mezzo secolo ed oltre di lotte e di idee) non fosse poi e soltanto bastoni bombe e P38 come le cronache – malevole – l’hanno voluta relegare. E, anche su questa parte, avrò da tornarci. Intanto invito alla lettura (Rodolfo Sideri, Con Mussolini e oltre, edizioni Settimo Sigillo).