Drieu La Rochelle e il mito dell’Europa
La recente ristampa del piccolo, ma prezioso, libro di Guido Giannettini, Mario Prisco e Adriano Romualdi su Drieu La Rochelle: il mito dell’Europa, dell’ormai lontano 1965, da parte delle edizioni di Passaggio al Bosco, può tornare utile per misurare la distanza tra il mito europeista coltivato dai giovani della destra postfascista degli anni Sessanta e Settanta e quello che resta dell’idea di Europa dopo la decostruzione operata dall’organismo burocratico, freddo e anonimo che si definisce Unione Europea. Dalle pagine del libro emerge infatti l’Europa come speranza di uscita dalla crisi della civiltà occidentale; crisi politica, economica, ma soprattutto di valori e di identità. La costruzione dell’Europa-Nazione veniva vista come la possibilità di erigere una nuova Patria, compatta come un blocco d’acciaio, come una calamita – per citare le parole della poesia dedicata appunto all’Europa da parte di Drieu La Rochelle – capace di sottrarre il continente all’egemonia americana e alla feroce dittatura comunista. L’Europa, quale emerge soprattutto dalle pagine di Adriano Romualdi, la più fulgida mente di quegli anni nell’area neo-destra, è l’incarnazione geopolitica della speranza di ritrovare i valori fondanti la civiltà europea al fine di dare un senso storico a un’effettiva unione, capace di restituire all’Europa il ruolo di faro della civiltà, attorno al quale tutti i popoli avrebbero potuto trovare alimento per il proprio sviluppo. Certo, non si trattava dell’Europa dei mercanti, ma quella degli eroi; era un’Europa che ritrovava coscienza della sua storia, rileggendo in modo diverso l’ultimo tentativo di unirla con la forza, come d’altronde tutte le unioni nazionali si sono attuate. Era un’Europa che si invitava la destra a farne il proprio cavallo di battaglia, in quanto unica forza politica a non aver rinnegato, dopo la sconfitta, l’idea di Patria. Erano i sogni della generazione della classe 40, per dirla con Brasillach; una generazione che dopo le lotte per Trieste e l’Alto Adige non aveva più come punti di riferimento la battaglia del Piave, ma quella di Berlino; non i ragazzi del ’99, ma le Waffen-SS; non lo Stato nazionale, ma il Nuovo Ordine che soprattutto la Germania di Hitler aveva rappresentato, per tradirlo dietro meschine e tragiche questioni razziali e di annessioni territoriali.
Di questi sogni resta solo la memoria storica di una generazione che aveva creduto nell’Europa come rigenerazione dello spirito e che oggi si vede davanti un misero mercato comune dove ogni Stato si fa una concorrenza feroce e sotterranea, spacciandola per Unione, e dove la sopravvivenza stessa delle nazioni viene contrattata in base a parametri astratti e disumani. Non è un caso quindi, ci sembra, che il tema della sovranità nazionale sia oggi al centro del dibattito dell’area che per comodità di termini definiamo di destra.