Domenica 18 ottobre da Claudio a presentare Terra benedetta con Emanuele e, ci ha raggiunto poi, Ermenegildo Rossi – medaglia d’oro al valor civile, l’unica vivente, credo, per aver nel 2007 sventato un dirottamento aereo mentre infuriava la guerra, le cui conseguenze funeste sono sotto gli occhi di tutti, per abbattere il regime del colonnello Gheddafi in Libia. Riuscì a disarmare il dirottatore, armato di coltello con cui minacciava una hostess, e impedire all’aereo di essere dirottato su Tripoli, con la conseguenza d’essere abbattuto trovandosi nello spazio aereo interdetto in quanto zona di combattimenti. Presenza anche per l’introduzione al libro che di eroismo si fa nel contenuto con quindici figure, note o non, che nel tempo (dai Vespri siciliani al secondo dopoguerra) ebbero uno scatto d’orgoglio e rifiutarono la descrizione del nostro paese riconducibile al detto ‘Franza e Spagna purché se magna’…
Ogni ‘eroe’ è narrato in singoli e agili capitoli da quindici autori diversi – sono giovani scrittori e l’unico ‘vecchio’ è il sottoscritto che ha voluto ricordare il maresciallo della G.d.F. Vito Butti, assassinato e gettato in una fossa comune dagli slavi comunisti il 3 maggio del ’45 alla loro entrata nella città di Fiume. Pur avendo la possibilità (forse) di sottrarsi alla cattura, volle condividere la medesima sorte dei suoi ‘ragazzi e andò a consegnarsi ai titini. Ne ho scritto in più occasioni. Emanuele – è una figura a lui particolarmente cara (una sorta di DNA ereditato da mio padre che amava e sapeva farci amare la storia patria) – oltre a curare la pubblicazione, ha raccontato l’intensa breve esistenza di Goffredo Mameli. Altri l’Ettore Fieramosca della disfida di Barletta o del giudice Giovanni Falcone passando per meno noti quali, nobili comunque nei sentimenti e nell’agire, il capitano Giuseppe Viscovich di Perasto, cittadina posta alla Bocche di Cattaro ove veniva custodito il gonfalone della Serenissima, ed estensore della lettera d’amore per Venezia, ceduta da Napoleone all’Austria, o il pugile Primo Carnera, che sempre si sentì italianissimo. Non starò qui ad inoltrarmi nel libro che lascio il compito all’auspicabile lettore (Idrovolante Edizioni).
Qui mi piace esprimere, ancora e sempre, il profondo legame e la disponibilità di Claudio, di quel nostro cameratismo sincero e inossidabile che ci rende parte di una tenace comunità di uomini e idee (mi tornano a mente le considerazioni di Drieu la Rochelle nelle ultime pagine di Gilles su come nasce e si consolida l’amicizia fra degli uomini, votati al pericolo e da un comune sentire). E, poi, evitiamo sentimentalismi e rischi di caduta in melensa retorica, si mangia bene e in abbondanza… E penso che ‘quel che veramente ami, rimane e il resto è scorie’. Soprattutto, oggi, ove nasce un mondo di diffidenza paura angoscia di mascherine (oltre le maschere dell’essere e di ogni apparire) di distanze imposte di isolamento nelle prigioni della mente del cuore e di quattro mura. Noi che abbiamo conosciuto anni di sbarre alla finestra chiavistelli alla porta avvertiamo come uno spasmo doloroso ogni forma di gabbia. E, se non ci appartiene più la stagione dei bastoni e delle barricate, possiamo ancora puntare il dito e urlare, irriverenti, folli e disperati, come il bambino della fiaba: ‘il re è nudo!’.