L’infinitamente piccolo

 

L’infinitamente piccolo

Nell’autunno che avanza, gli occhi si sollevano alle foglie brune e ingiallite che abbandonano i loro rami per riposare a terra; all’oscurità che si prende il cielo lasciando al sole poche e fresche ore. Ma gli occhi hanno da ripiegarsi anche sul cuore che deve prepararsi alle gelate dell’inverno, alle mani che devono mettere da parte e conservare i frutti che il lavoro estivo ha anticipato. La morte si intreccia sempre con la vita, come le tenebre sfumano sempre nella nascente luce. Così è per quest’era, il cui autunno lascia già pregustare, per chi li sa vedere, i frutti che non tarderanno a venire. Lo sguardo dell’uomo deve dunque abbracciare l’immensità intorno e sopra di noi, con quella ancor più abissale che si dispiega dentro di noi. E in modo del tutto speciale proprio su questa deve indugiare affinché il suo pensare e il suo agire siano chiari e armoniosi.

L’intero globo è agitato da turbolenze che già si manifestano, ma che ancor più lasciano presagire deflagrazioni future. Il precario equilibrio politico ed economico sembra sul punto di precipitare verso scenari disastrosi. E non mancheranno di aggiungersi anche cataclismi naturali sempre più frequenti. Di fronte a tali forze, le persone sperimentano la loro impotenza, non avendo apparente modo di agire direttamente sugli esiti degli eventi, a patto però, di non considerare che sono proprio le forze invisibili a determinare le manifestazioni visibili: ogni azione rimane per l’eternità e ha influenza sul Cosmo. Chi ha maturato una fede che non si accontenta di sentimento e facile morale, sa e ne può dare testimonianza. Pur potendo approfondire, qui ci basti sottolineare come il paesaggio politico-economico, così come quello naturale subiranno mutamenti profondi negli anni a seguire: è bene che ciascuno ne diventi consapevole e rimanga ben vigile davanti ai rapidi accadimenti. Tuttavia, pur con quest’immagine ben posata nelle nostre coscienze, è altrove che lo sguardo si deve accomodare, rispondendo così alla specifica chiamata di questi tempi, ormai davvero “ultimissimi”.

Nel 1969 Joseph Ratzinger tenne alcune lezioni radiofoniche, e in modo particolare nell’ultima, letta il giorno di Natale, prefigurò il futuro a cui sarebbe andata incontro la Chiesa. «Il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. […] Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi».

Queste parole sopravanzano il semplice aspetto religioso, andando a cogliere l’atteggiamento e la “postura” dell’uomo che si trova ad attraversare questa fase di transizione fra la fine del presente Ciclo umano-terrestre e l’alba del nuovo. Gli occhi sì, levati al cielo, ma col cuore e le mani piegati su ciò che è piccolo, insignificante, secondo i canoni dell’attuale società. È il totale rovesciamento di prospettiva e di valori che costerà molta fatica e dolore, a noi avvezzi a conteggiare ogni cosa per poterne esprimere il valore; a noi che viviamo di numeri e statistiche divenendo così ciechi alla Verità; a noi che consideriamo buono e giusto solo ciò che giunge dall’alto, dalle stanze che contano, che siamo accademiche o dell’informazione non fa alcuna differenza; e l’elenco potrebbe continuare. Ma non si tratta di una costrizione dello sguardo e dell’intelligenza, anzi: è invece l’allargamento dei confini che nell’infinitamente piccolo sperimentano la presenza del Tutto. Dobbiamo svestirci della paura di essere soli ed isolati, di contare poco, di essere reietti: è giunto il momento di tornare ad essere liberi.

È necessario però rispondere ad una domanda essenziale: in quale punto della navigazione cosmica, che si distende dall’alfa all’omega, noi ora ci muoviamo? Le Scienze Sacre attestano senza possibilità di fraintendimento che la fine di questa generazione adamica è prossima. La prua della nostra imbarcazione è da poco entrata nelle acque che rappresentano quel breve tempo di transizione che servirà a forgiare e preparare quel “piccolo resto” capace di oltrepassare la finale prova di fuoco. La crisi – e non solo quella della Chiesa – è dunque entrata nel vivo. Il primo momento è quello della spoliazione, certamente anche numerica: affinché si coagulino dei piccoli gruppi, sarà necessario che prima si incrinino quelli esistenti. Ciò si deve accompagnare ad uno “svuotamento” interiore di tutti quegli orpelli intellettuali e culturali che non potranno trovare dimora nel Nuovo Ciclo a venire. Parafrasando Ratzinger dobbiamo “ripartire dagli inizi, e dalle piccole cose”. Forse nulla di ciò che abbiamo qui ci porteremo nella prossima Era che vedrà non soltanto un’Umanità rinnovata, ma anche un Mondo rinnovato. Cosa resterà allora? Resteranno le piccole azioni, nate però da grandi Ideali. Ogni seme di Bontà, Giustizia, Bellezza piantato oggi svilupperà un giorno un albero maestoso.

È necessario però che “le Scritture si adempiano”, perciò nulla potrà evitare la distruzione, preludio alla nuova Restaurazione. L’Ordine, se viene turbato, deve riequilibrarsi mediante il Sacrificio. Ciò è tanto più vero se inteso nel suo senso Globale e Cosmico. Non vi è rinascita che non sia preceduta da espiazione. Qui si metterà alla prova l’anima di ciascuno di noi. Sapere di non poter mutare le sorti del presente mondo deve scuotere ancora di più le nostre menti sepolte da un sonno antico. Ogni azione che dovrà generare Bellezza e Giustizia godrà proprio dell’essere piccola, talvolta agita nell’ombra della clandestinità o addirittura in una dimensione quasi catacombale. Non sono le stanze del potere, le redazioni delle televisioni, i palcoscenici dei grandi festival a cui rivolgere i nostri sguardi. Di quello non resterà nemmeno una pietra o una vite. La cultura e l’arte, per troppo tempo calpestate, saranno la linfa quotidiana per ogni altra azione; partire dalla profonda e umile valle sapendo che non sarà solo con le nostre povere forze che raggiungeremo la vetta. Tutto questo concorrerà alla nostra purificazione. Le piccole sale di quartiere, o le soffitte come cenacoli di artisti e intellettuali “eversivi”, le pubblicazioni fatte circolare al riparo da luci indiscrete; ma anche teatro e opere cinematografiche. E ancora la scuola, recuperata al suo originario compito iniziatico; la dignità del lavoro, lo scambio comunitario come segno di reciproca appartenenza. Una piccola società interna alla grande società che provvidenzialmente si dissolverà con enfasi e clamore non potendo tradire le fondamenta di apparenza e falsa maestosità su cui si poggiava.

Nella Chiesa di Laodicèa – quella attuale – è dal popolo che spunterà il germoglio della vita futura, è dal basso dell’umile terra che deve costituirsi quel “piccolo resto” così tanto frainteso, poiché soltanto coloro che gioiranno di ogni azione e creazione, ancor più se piccola, potranno restare fedeli all’Ideale.

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