Qualsivoglia e dintorni

 

Qualsivoglia e dintorni

Qualsivoglia, aggettivo indefinito, é come quel vasetto pieno di sottaceti che una mia zia mi ha portato un giorno dal paese: sta lì, dove é stato fatto arretrare da altri vasetti che hanno una scadenza remota, che non sono altrettanto buoni, ma sono esenti – vivaddio – dal rischio mortale  del botulino.

Lo sdoganamento da quella nicchia silenziosa e buia, nel quale poteva essere disturbato, al più, dal volo corto di una tignola, é avvenuto per iniziativa del giovin Fusaro, troppo preso dalla smania di levitare, per accorgersi che così facendo avrebbe migliorato il repertorio linguistico di tutti coloro che vivono di rendita sulle equidistanze farlocche. Che amano stare con un piede in due staffe o con entrambi i piedi nella stessa staffa. Che per sedare una mischia, fingendosi preoccupati di ristabilire la pace,  afferrano per le braccia colui che sembra destinato a soccombere, col risultato che l’altro, o gli altri,  sono liberi di finirlo. Reminiscenze al neon di quando, quasi un ragazzo, avevo la strada per casa. Chissà se anche Bergoglio e Mattarella sono andati a lezione da quelle parti e se, senza neppure rendersene conto, ne hanno tratto un utile insegnamento per la loro politica e per la vita: da come il papa che non c’è – é fuori, passi più tardi –  ha commentato i fatti di Nizza (concedendo il bis dopo Vienna), si direbbe che si é andati addirittura oltre l’uso strategico dell’aggettivo indefinito, lo si é sublimato, facendolo scomparire all’interno di una prosa in cui mancano anche il soggetto e il complemento oggetto, non é chiaro chi abbia adoperato il coltello, né si capisce, sulle prime, chi lo abbia subito, ma si può fare tranquillamente a meno di  entrare nella questione perché tutti i dubbi vengono dissipati da una silloge perentoria, quella per la quale dobbiamo ‘reagire uniti al male con il bene’, comportarci cioé come i martiri d’antan, l’offerta votiva delle nostre carni più tenere alle fauci del leone,  evitare di metterci la maglia col collo alto, é d’impiccio, come vuole signore che mi metta, così, oppure così, scelga lei.    

Qualsivoglia, alias qualunque, alias qualsiasi, l’equivalente dell’uomo che giunge, mezzo morto, al pronto soccorso, un po’ di qua e un po’ di là, e del pass-par-tout con cui il ladro penetra di soppiatto in tutte le case, ma anche le nuvolette che nella grammatica del fumetto si rincorrono, l’una dietro l’altra, per significare la fuga: come quella verso Brindisi, l’8 settembre del ’43,  con cui il re vigliacco e l’artefice di tutte le peggiori disgrazie (Caporetto compresa) capitate al Paese, Sua Schifezza Badoglio, si chiamavano fuori dopo avere informato  di punto in bianco le nostre Forze Armate che  avevamo fatto comunella con gli Alleati  e che, dunque, esse ‘ reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza’.

‘Qualsiasi’, ‘reagire’: comincio a pensare che l’ignavia e la viltà, nel manifestarsi al grande pubblico coi loro proclami, e con le loro circolari prive di senso compiuto, si riproducano  seguendo per filo e per segno le direttrici  di un circuito stampato e che, in fondo, il fatto che Bergoglio faccia rima con Badoglio c’entri poco con la tendenza della Storia a ritornare continuamente su se stessa cambiando d’abito, a sdraiarsi mollemente su Vico.

Contrastare il fanatismo di qualsivoglia matrice’, é la traduzione in lingua italiana dal pigolio di Mattarella, emesso immediatamente dopo l’attentato di Nizza. Ora, a parte l’ uso improprio del l’aggettivo indefinito ‘qualsivoglia’, sottratto alla sfera gravitazionale dei giuristi che se ne servono per distinguersi dagli abitanti della suburra, e a quella dei filosofi che lo utilizzano di tanto in tanto per ricordarsi essi stessi di essere dei filosofi, ciò che colpisce di questa frase é che contiene almeno due ciclopici inconvenienti. Il primo é che in ogni requisitoria si usa fare, per correttezza e per chiarezza , il nome del soggetto, singolare o plurale, contro il quale si é ritenuto opportuno prendere la parola. Il secondo, che il termine ‘fanatismo’, isolato dalla descrizione del contesto in cui esso agisce e da quella dei rimedi che potrebbero essere dispiegati per circoscriverlo, é di per sé é un guscio vuoto. Intanto perché non consta che a Riad o a Karachi i cristiani vadano in giro a bruciare le moschee o ad ammazzare la gente per strada, ragion per cui l’atto di ‘contrastare il fanatismo di qualsivoglia matrice’ sarebbe nel caso, compiuto per impedire al fanatismo ‘buono’ – che peraltro sta lì, immobile, in attesa di una legittimazione iperuranica – di prevalere su quello ‘cattivo’, che già sta qui da un bel pezzo e occupa da solo tutta la scena, come Yin senza Yang, come uno che faccia contemporaneamente  la propria parte e la parte dell’altro mentre l’altro é altrove . Poi, perché, da che mondo é mondo, le vicende umane, e quindi  anche quelle delle moltitudini che si sono fatte Stato, sono regolate da un principio essenziale, che io chiamo dell’antagonismo omeopatico, del fuoco che spegne il fuoco, della guerra che stoppa la guerra, del male che trionfa sul male, tutte cose che un certo Chamberlain, ad esempio, aveva colpevolmente ignorato  consentendo alla croce uncinata di dilagare, tutti errori che ora l’Europa ripete cercando con l’Islam il dialogo che le viene concesso a chiacchiere e negato nei fatti.

In quest’epoca – segnata da turbative profonde e dalla necessità di fare scelte definitive – l’aggettivo indefinito diviene un pernicioso controsenso, una facile scorciatoia verso la diserzione, verso la renitenza alla leva contro gli apostoli del degrado: e per uno che fa il presidente della Repubblica, ancorché a tempo perso, non é proprio il massimo.

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