Sei ogni istante di solitudine

 

Sei ogni istante di solitudine

Oggi mi incarterò tra i meandri del pensare e le parole in rovina. Puro nichilismo, un agguato, fra le crepe e forse ne sorgerà un Dio. ‘… Eres cada solitario instante’, verso tratto da La moneta di ferro dello scrittore argentino Jorge Luis Borges e tradotto in ‘Sei ogni istante di solitudine’ (si badi bene: non in ogni istante e la differenza non è da poco. Essere non trovarsi. Non è il tempo e le circostanze che ti determinano, ma il tempo e le circostanze sono distrazioni contingenti, inganno illusione frammenti di un gioco delle maschere, vuoti a rendere. Tu sei qui ed ora, solo. Non affidandoti se non a un ‘tu’ unico breve confinato nella finitudine della carne).     

Al telegiornale la cattedrale di Nizza interrompe e devia le mie riflessioni e astruse e confuse e disperse. E’ uno dei pochi momenti di interagire con il mondo. Sempre più critico e lontano io; sempre più falso e menzognero lui…                                                                                   

Mi ritorna a mente il martirio del mistico persiano Mansur Al-Hallay, fine X secolo, giustiziato per eresia e apostasia il 26 marzo del 922. Si narra che gli furono mozzati piedi e mani e non emise alcun lamento, nessun lamento quando, esposto alla folla, gli scagliarono contro pietre. Solo quando un sufi (un mistico anch’egli, forse un suo discepolo) lo colpì con un fiore, gridò, sì, gridò per il dolore (secondo la versione più accreditata fu crocefisso a testa in giù e con una corona di spine – l’analogia con il Cristo si fa palese – e, dopo essere stato decapitato, il corpo disperso nel fiume Tigri. E, per la medesima analogia, si ricorda il suo affermare ‘io sono la Via’).

In alcuni precedenti interventi mi sono dilettato intorno all’enigma del tempo. Ora la solitudine quale identità dell’essere (con la minuscola, atto di modestia) per passare là dove un petalo denuncia il divario tra consapevolezza (il discepolo) e l’ignoranza (la folla irosa e fanatica armata di pietre). Anche le bestie conoscono il dolore, ma a noi quello di chi ci ha tradito… 

Tutte forme, nel crepuscolo del giorno, di un ri-flettere, inutile e sterile, lo so bene, mentre dovrei aprire la finestra e urlare contro – in fondo conta poco contro chi e perché – per ricordarmi e ricordare quell’uomo in rivolta quel passo lieve di danza su ritmo di una nota sola quello sguardo ora inquieto ora trasognato a mirare oltre ogni orizzonte essere in cammino mai domo mai stanco. Così mi amavo guardandomi allo specchio dire ‘io sono’. Appunto scendere in strada, pur se azzoppato… Cosa rimane del giorno che si nasconde e muore? Cosa rimane di me in me e non per me? Frugo tra quelli esordi che furono il mio scrivere e ritrovo questa straordinaria evocazione di Charles Maurras e sì cara all’ultimo Robert Brasillach, quello che si avvia incontro al destino sotto forma di dodici bocche da fuoco avide del suo sangue: ‘la giornata sta per finire senza fiamme: ho pregato che non si accendano fuochi. Che la sera scenda con le sue nebbie incerte: il dettaglio, l’incidente, l’inutile, vi affogheranno, mi resterà l’essenziale. Ho mai chiesto altro alla vita?’.

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