Credo sia stato Indro Montanelli a definire I giorni di El Alamein il libro (l’autore lo definisce ‘romanzo’) più bello o fra i migliori quale testimonianza di chi ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Primo di una trilogia comprendente Il Repubblichino e I vinti di Salò. Ugo Franzolin, l’autore, di cui mi rimane vivo il ricordo della sua stima e della nostra amicizia. E ha voluto porre, sotto il titolo, una sorta di motivazione, di impegno morale a cui non è venuto mai meno. ‘Non li ho dimenticati’, scrive. Ma, ne sono certo, egli pensava e avvertiva in sé che ‘non vi ho dimenticato’ a quei volti ai gesti alle parole al sangue versato dei suoi ‘camerati’ di cui – mi raccontava – erano popolo fedele, comunità viva, quando si racchiudeva nel suo appartamentino, pieno di libri e di ricordi, a palazzo Lazzaroni e prima di coricarsi.
Ognuno possiede tanta storia e, nella stagione del tramonto, i ricordi affiorano forti, alcuni celati per anni nei meandri della mente, tanto da divenire sovente la ragione, il senso stesso del nostro permanere carne ossa sangue. Così è stato per Ugo; così è per ciascuno di noi. E lo scrivo senza metafore o metanoie. Sono il patrimonio il più caro, un tesoro e una eredità, d’intensità di immagini sensazioni emozioni che quasi non necessitano formularsi in linguaggio altro dal corpo. Quel ‘dio sconosciuto’, che – alludo al romanzo di Steinbeck – sacrificandosi il protagonista concede al rivolo della sorgente tornare copioso e non inaridirsi. Breve illusione, inganno che, poi, si apre l’ultima notte senza stelle ed aurora. Già Robert Brasillach, cella dei condannati a morte, avvertiva come la vita gli scivolasse come acqua fra le dita…
Ugo siede quieto, riservato, mite e al contempo garbatamente ironico nel giudicare, mai un accento di troppo, con quella venatura che, nonostante viva a Roma fin dal termine della guerra, denuncia l’origine veneta e ne addolcisce il suono. In un bar con i tavolini all’aperto, fra Fontana di Trevi e la sua abitazione, a conversare davanti ad una tazza di tea prima di ritirarsi in un pensionato ai Castelli per giornalisti. Mi ha aiutato a liberarmi di troppa saccenteria, da professore e di filosofia, e di ricostruire un rapporto vivo con la narrativa – ne fanno fede i racconti pubblicati. Di accogliere nella cerchia delle ‘mie’ amicizie – Max Stirner e Nietzsche dominavano in esclusiva o quasi la scena – gli eroi della mia adolescenza il Don Chisciotte e il Corsaro Nero e soprattutto Cyrano de Bergerac. Non dico Brasillach che m’è fratello.
Si possono far coabitare gli uomini e le donne, che hanno attraversato la mia vita in modo più o meno duraturo, con quelli ‘eroi’ e ‘amici’ che sono nati da una pagina letta, momento di riflessione, sinergia del sentire, suscitatori di fantasia e di guerre combattute in cielo? Voglio credere che il linguaggio della mente e quello del corpo non possiedono confine alcuno frontiere filo spinato orizzonti invalicabili. In una sorta di unica cantica su una nota sola, si danno la mano e danzano intorno al fuoco e tengono eretto l’albero sacro del nostro esistere hic et nunc in attesa che il vento si erga per l’ultima folata, faccia al sole e in culo al mondo. Tramite Ugo – e non solo – posso anche io annotare nel cuore e nella mente ‘non li (vi) ho dimenticato’…