Parlando del Grande Reset con lessico marxista

 

Parlando del Grande Reset con lessico marxista

Il grande Reset che tutti temono e che credono di trovare per primi nelle dichiarazioni, nelle affermazioni a mezza bocca e nei libri bianchi è, in realtà, in gestazione da molti anni.
E non, si badi bene, perchè sia stato effettivamente preparato, ma perchè le élites, che indubbiamente hanno molto potere, non possono creare situazioni dal nulla, ma “appropriarsi” di situazioni che si originano nei rapporti sociali, economici e, ad un livello superiore, simbolici.

Il “Grande Reset”, che consisterebbe nella creazione di una forma di sussidio costante a tutti a prescindere dalla loro collocazione sociale, può avere due letture. La prima è socioeconomica, e parte dal fatto nudo che in un mondo in cui, inesorabilmente, una quota sempre maggiore di lavoro verrà svolto da macchine (o non svolto, nel senso che verrà reso superfluo dal digitale), la forma dello stipendio, con il quale in ultima istanza si crea il consumo, verrà a contrarsi. Siccome è noto che, per quanto si dica il contrario, il numero di posti di lavoro persi dal processo di automatizzazione/digitalizzazione saranno superiori a quelli che si creeranno, si verrà a creare una quantità di ricchezza incorporata in merci (e servizi) che non verrà più trasformata in stipendio.
Di fronte a questa condizione, se portata alle sue conseguenze in un mondo distopico in cui il lavoro dell’uomo non sarà più necessario, si produrrà una discrasia completa: le macchine, in mano ai capitalisti produrranno merci che nessuno stipendio vorrà e potrà comprare.

Va da sé che questa situazione non è desiderabile, né ha vie di uscita, interne – a meno di non voler socializzare completamente i frutti della automazione. L’unica via è, appunto, il “Grande Reset”: estrarre tramite tassazione dai ceti produttivi per redistribuire il reddito e ricreare lo stipendio con il quale poter acquistare i beni prodotti.

Ora, è evidente che questo sia un quadro fondamentalmente irreale, e per decine di ragioni, ma la tendenza rimane questa. Come aveva ben compreso la Luxemburg già molto tempo addietro, qualsiasi forma di redistribuzione che non tocchi la proprietà dei mezzi di produzione è una forma di terapia antipiretica per il sistema disfunzionale del libero mercato.

Ed ovviamente questo mondo, il mondo del sussidio in luogo dello stipendio sarà un mondo antropologicamente diverso: l’antropologia del consumatore non è quella del lavoratore dipendente e che non è quella dell’imprenditore che non è quella del rentier.

E qui arriviamo al lato politico che viene denunciato dagli oppositori bannoniano, Qanonisti e anche di altre parrocchie. Che vi sia una implicazione politica è scontato: un lavoratore ha una autonomia politica derivantegli dal suo lavoro che è commisurata alla sua indipendenza nel processo produttivo. Come faceva ben notare Preve, il contadino aveva ben più coscienza e autonomia politica del proletario di fabbrica, perchè dominava il suo processo produttivo dal seme al mercato. Parimenti il colletto bianco, l’aristocrazia operaia specializzata aveva più autonomia politica del proletario-appendice meccanica, e infatti ha mietuto dividendi politici lungo tutto il Novecento.
Un sussidiato non ha nemmeno l’autonomia nominale del proletario, ed è completamente dipendente dall’elargitore. Come le plebi urbane romane che non producevano nulla e dipendevano completamente dalle elargizioni di grano, così al sussidiato resettato rimarrebbe solamente il potere della sollevazione, non avendo altra leva che la sua stessa vita. Non più lo sciopero, non più nemmeno la dignità di essere parte di un processo necessario. Appendice non più di una macchina ma suo parassita.

Questo quadro, ovviamente estremizzato, è uno dei quadri possibili, che verrà temperato dalla realtà. Ciò che è contestabile in senso marxiano non è che si possa verificare, o che qualche capitalista lo possa considerare desiderabile,ma che la critica al “Grande Reset” non coglie il nucleo, vale a dire la sua ineluttabilità. E la sua ineluttabilità può esser colta solo a partire dalla analisi della sua nascita, che sta nel combinato dei processi tecnici e degli sviluppi economici, troppo grandi per essere creati.
Marxianamente si deve aggredire dialetticamente il nucleo originario: come affrontare il nodo tecnico che PUO’ dare origine al piano “Great Reset”? La soluzione è sempre quella: rimettere in discussione la proprietà dei mezzi di produzione. Ma, guardacaso, l’opposizione “da destra” al Grande Reset non può spingersi tanto in là, perchè commetterebbe un suicidio ideologico.

Il complottismo è quindi non il credere che un evento si possa verificare ma guardarsi bene dal riflettervi fino alle estreme conseguenze.

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