Se il rischio non è prendere il Covid-19 ma perdere l’identità
Il fine settimana ultimo scorso si sarebbe dovuto tenere a Firenze il Terzo Convegno nazionale de Il Pensiero Forte. Come noto, il previsto rispetto di tutte le disposizioni sanitarie non è bastato e l’ennesimo DPCM notturno ‒ emesso tra il 18 e il 19 ottobre ‒ ne ha reso impossibile lo svolgimento. Un gran peccato, non c’è che dire. Ma che non fermerà certo la preziosa opera di formazione e informazione di questa realtà. E che, a bocce ferme, suggerisce qualche riflessione in tal senso.
Delle conseguenze economiche della crisi pandemica il mainstream non fa mancare ogni giorno numeri, indici e quantificazioni varie. A ben guardare, tutte informazioni inutili: non serve aver studiato a Oxford per capire che dopo mesi di lockdown totale, di fittizie riaperture, di virtuali aiuti economici sbandierati ai quattro venti ‒ in genere poi non elargiti e laddove arrivati comunque rivelatisi insufficienti ‒ la situazione non potesse essere delle più rosee. Ma c’è un altro fronte che sfugge ai più e al quale pare che nessuno ‒ entro i canali ufficiali ‒ faccia cenno: le conseguenze sociali, relazionali, psicologiche e culturali non tanto del Covid-19, ma della gestione che si è fatta, fin dall’inizio, dell’emergenza. Alla traumatizzazione spettacolarizzata della Fase 1, infatti, è seguita quella della Fase 2 tuttora in corso: divieti su divieti modificati ad hoc solo per mantenerli in evidenza tra le breaking news, codici colorati che hanno reso le Regioni – radicato simbolo delle identità italiane ‒ dei tristi semafori attuando l’unico federalismo realizzato davvero, quello della paura. Ecco il vero hashtag, la #paura: tutto vi ruota intorno e pare che l’obiettivo sia quello di concentrare ognuno in una zona mentale di tensione iperstimolando l’amigdala e ipostimolando l’ippocampo. La prima è proprio la ghiandola della paura che la mole di informazioni di tal fatta sollecitano da mesi facendoci sentire perennemente ‘sotto attacco’. Il secondo, invece, ‘media’ il nostro rapporto con la realtà e lavora meno se funziona solo l’amigdala. Il risultato di questa geniale combinazione artificialmente indotta? La perdita di senso. In altre parole, la depressione. Aggiungiamo un altro aspetto: l’inflazionato ricorso al concetto di negazionismo per bollare come tale, ogni voce politicamente scorretta o fuori dal coro in tema di coronavirus celando bene quello che, invece, realmente le disposizioni governative a colpi di DPCM hanno fatto in questi mesi: negare.
Sono state negate libertà personali come mai nella storia: secondo il capo tecnico dell’Oms Maria DeJoseph Van Kerkhove «la difficile decisione di non riunirsi in famiglia per le feste è la scommessa più sicura» (Agenzia Reuters, 23 novembre 2020). Non sorprende, dunque, che il nuovo DPCM in arrivo pare imponga a 6 il numero massimo di invitati a cena che potremo permetterci sotto l’albero. Un divieto che, se fosse applicato retroattivamente, renderebbe illegale anche l’ultima cena del Cristo ‒ o se si preferisce, per dirla con Bergoglio, del “festeggiato” (Cfr., @pontifex, twitt del 19 dicembre 2019, h. 13:30) ‒ reo, avendo 12 apostoli, di non aver ‘turnato’ gli inviti.
Un insieme di divieti, insomma, volti a negarci di ‘fare cose’ che ci esporrebbero a pericolosi rischi per la nostra salute ricordandoci ‒ semmai ce ne fosse bisogno ‒ che è preferibile stare a casa e meglio se da soli, manco fossimo allergici al metallo nell’età del ferro. Ma soprattutto, niente convegni. Niente occasioni di approfondimento, a meno che non siano online e quindi facilmente registrabili. Non sia mai che a qualcuno venisse in mente di creare un assembramento indisciplinato di teste pensanti e politicamente scorrette lontane dall’occhio vigile dei megapixel.
A tutto ciò fa da sfondo il paradosso che la mondiale organizzazione politico-morale al governo del villaggio globale ‒ da trent’anni a questa parte ‒ stia di fatto guidando il mondo e le nostre vite ispirandosi a principi guida e finalità nient’affatto diversi da quelli del tanto deprecato e demonizzato ‘Stato Etico’. Dove, però, a ben guardare, i convegni si potevano fare e le cene pure. Magari correndo il rischio dei rischi che a noi piace correre oggi più di ieri: ridare identità. E che continueremo certo a fare, perché Covid-19 o meno, nihil difficile volenti.