Il pastello alla parete, ricordi…
Nella mia stanza – rifugio e prigione, al contempo – i libri si sono affastellati negli scaffali (nonostante ne abbia abbandonati tanti e troppi nella necessità di traslocare ormai da dieci anni). Alcuni sono così in alto che, non potendo più prendere la scala, li devo considerare perduti ed eredità a futura memoria. Mi tornano a mente alcuni versi: “E i miei libri, le mie visioni – possono essere dispersi al vento…”, così Brasillach ne Il testamento di un condannato (22 gennaio 1945). Come le mie ceneri. Intendo, però, abbandonare i lidi funerei il capo chino al giogo e cosparso di tetri pensieri – già si respirano i fumi indotti da mefitiche atmosfere pandemiche -, per volgere lo sguardo non tanto alle colorate copertine dei libri, ognuno mi racconta una storia, ma verso gli oggetti che s’accompagnano alle pareti, anch’essi muti testimoni di vite vissute, di tasselli di particolari a me cari comunque.
Alla parete, a ridosso della branda, un porticciolo con barche in un azzurro d’acqua a confondersi con il cielo, case abbozzate e blocchi di pietra a ripararlo dalle onde. In alto due scaffali di volumi sul Medio Evo, biografie e accadimenti, ed alcuni sulla Grande Guerra. Incorniciato mi arrivò, inaspettato, molti anni ormai da Palermo. Di Francesco Enrico Accolla, anziano avvocato, già corrispondente di guerra della XMAS e autore del libro Lotta su tre fronti (un buon libro, purtroppo non avendo potuto correggerne le bozze, fu stampato con troppi refusi). Autore del pastello. Curando la pagina culturale, Briciole di cultura, sulla agenzia di stampa Publicondor ne avevo fatto recensione e, non ricordo come, l’aveva letta. Era il suo modo di ringraziarmi, come mi spiegava in una lettera d’accompagno e, dattiloscritte, alcune poesie che aveva composto negli anni di guerra e di prigionia.
L’ho conosciuto di persona recandomi a Palermo per una conferenza su Brasillach organizzata in un albergo nei pressi del Comune da una comunità giovanile. Era un anziano signore, appoggiato al bastone, la voce e lo sguardo ridenti. Quando mi sfuggì dandogli del “tu”, pronto: “allora vuol dire che siamo ancora giovani!”. Poi mi raccontò di come, portato a Bresso, dove vi era una caserma e un campo d’aviazione dopo la cattura a Milano (qui era stato ammazzato a tradimento nel cortile Adriano Visconti, pilota ed asso dei caccia, credo di ricordare), reagendo alle prepotenze di un partigiano, l’avevano impiccato all’esterno di una grata. S’era salvato, mentre la corda lo soffocava lentamente, perché i suoi camerati avevano attirato l’attenzione di una jeep inglese tirandole contro gli scarponi.
Qui, però, mi preme ricordare quanto aggiunse sul quadro di cui mi aveva fatto dono e perché si trattasse di un pastello. Aveva un figlio che era una promessa sicura nella pittura e che gli era morto ancora giovane. Come lui, che non avrebbe più tenuto in mano il pennello, così ora toccava a lui non più usarlo. Un senso dolente e d’amore quale forma di rispetto. C’è una eredità compiuta di affetti di sentimenti di immagini di ricordi ove il cuore si raccoglie e dove il detto nella parola e nel gesto si manifesta voce di quel non-detto a cui appartiene la sua storia più profonda. E rividi, allora, in un nitore repentino e trattenuto nei meandri dell’essere mio più autentico, la tua stanza il pianoforte il letto la sedia a dondolo il plaid e la finestra aperta nella notte senza stelle…