Con poca prora per l’insidia vasta
‘Con poca prora per l’insidia vasta’, verso tratto dalla Saga della XMAS di Francesco Enrico Accolla, di cui ho scritto nell’articolo della scorsa settimana e ho tratteggiato nella rubrica ‘Ritratti in piedi’, messami a disposizione da Kulturaeuropa. Saga che, ormai molti anni fa, era inserita in un recitativo di parole e musica dal titolo La rosa fra i denti e, nello specifico, letta da Sveva, coinvolta e commossa. Tanto piacque al Comandante Borghese che lo volle inciso sul timone di uno dei barchini d’assalto a fronteggiare la flotta alleata durante lo sbarco di Anzio e nel mar Tirreno. E, quando l’avvocato Accolla me lo raccontò nell’unica occasione d’incontro a Palermo, ancora vibrava di legittimo orgoglio. Avendo avuto la fortuna e la stima dei reduci di quella esperienza, ho imparato a riconoscere il senso dell’attaccamento e di condivisione che hanno mantenuto nonostante il trascorrere degli anni e la vita e le scelte che ognuno di loro s’è costruito.
Ricordo una cena ad Artena – l’ho narrata nel romanzo La guerra è finita -, palazzo Borghese, e di come il Comandante mise fine ad un alterco insorto fra due marò che appunto avevano fatto scelte umane e politiche difformi. S’impose e impose che si stringessero la mano e sedessero al medesimo tavolo. D’altronde basterà rileggere Drieu la Rochelle, le ultime pagine di Gilles, ove parla dell’amicizia nata dal comune destino e frutto del pericolo. E, senza volermi confrontare con il mondo in rovine nei giorni tragici del ’45 e di quei ‘giganti’ in camicia nera e in grigioverde, rivedo Tonino ed io ad attaccare manifesti o a far bastonate a Valle Giulia, lui il guerriero ed io il filosofo, come gli piaceva definirci…
‘Con poca prora per l’insidia vasta’, non soltanto un eroico e disperato momento in un conflitto ove ormai alcuni si battevano per riscattare l’Onore della Patria dopo l’8 di settembre, inteso come vergogna e tradimento. Una scelta un’esistenza un modo di porsi di fronte al presente per far sì che l’onda non ci travolga e, se si deve andare a picco, al timone e non essere topi ad abbandonare lesti la nave. E mi vengono a mente le parole del poeta futurista russo Vladimir Majakovskji, la sua lettera d’addio ritrovata dopo il suicidio (anche se s’è avanzata l’ipotesi di un ‘omicidio di stato’ su ordine di Stalin). Ove si legge – trascrivo a memoria e forse in modo imperfetto – ‘la barca dell’amore s’è infranta contro gli scogli della vita quotidiana’.
Così ci rendiamo – né più belli né più buoni, forse – nel cammino degli esseri contro e dove ogni orizzonte ci appare confine di un universo concentrazionario. Libertari nel vivere, fascisti nei valori. E, citando Robert Brasillach, a me da sempre caro fin da quando ne scoprii i versi in prossimità della morte capaci al contempo di rasserenare l’inquietudine della nostra giovinezza amara, ‘amore e coraggio non sono soggetti a processo’…