Di Lorenzo Merlo
Gira e rigira, a ben guardare, in fin dei conti tutte le prospettive che la storia colleziona sono sempre le stesse. Essa le gerarchizza, ovvero le valuta in preziose e scadenti. Tuttavia tutte hanno pari ragione d´essere, diversamente non ci sarebbero. Così si prosegue, oscillando sull´altalena del ciclo desiderio-soddisfazione-desiderio. Un modo di vivere che contiene pene e gioie, ma a ben guardare soprattutto le prime. Il modo per andare oltre ci sarebbe, l’uomo lo conosce da millenni, ma praticamente non l´ha mai socializzato, non ne ha mai fatto cultura. È una modalità che ci permetterebbe un gradiente di benessere apparentemente utopico e, secondo alcuni, anche di andare oltre la storia. Cioè di riunirci all´Uno che già siamo. Sarà vero o anche in questo caso non staremmo volando sul tappeto volante di una delle tante prospettive che l´uomo può traguardare? C’è una ragione superiore alle altre? O la possiamo raggiungere solo riconoscendo che tutte hanno il medesimo valore?
Il mondo di fronte a noi
Siamo come i bambini. Innocenti, crediamo a quanto dice papà. Ci vuole del tempo affinché anche lui possa essere deposto dal trono dove credevamo vivesse per diritto inalienabile. A quel punto manca poco alla completa nudità del re. Così, da superiore e inconfondibile, diviene uguale, simile, assimilabile a tutti gli altri uomini.
È un processo che alcuni non compiono mai del tutto. Restano tutta la vita sotto l’ala protettrice. Come le oche di Lorenz seguitano a credere che non ci sia altro più di quanto abbiamo appreso da lui. Interrotti archi nel cielo, per i quali non si sa se ci sia più ragione che stiano nella categoria dei fanciulli o in quella dei patologici.
Gli altri figli, quelli che si credono divenuti adulti compiuti, non di rado deridono o compatiscono i loro fratelli rimasti indietro. Perché le cose che diceva papà si sono poi rivelate opinabili e non li contengono più. Si sentono superiori e diversi. Considerano senza valore il peso dei loro rimbrotti bambineschi: “Babbo non vuole”.
Ma, a loro insaputa, la struttura relazionale dalla quale credono di essere sfuggiti, si riproporrà. Sempre. Anche se, certi della propria autonomia di pensiero, crederanno di attraversare puri le forche caudine della vita. Lo faranno senza avvedersi, neppure col senno di poi, della gerarchia di Babele che sempre ci sovrasta almeno di un piano, di un giro, di un passo. E ci contiene.
Tronfi dell’arroganza del conquistatore, che la consuetudine chiama dialettica o competenza, ci rivolgiamo al mondo in attesa che la sua eco ci porti in dono byte di autostima, con la quale alimentare le fauci dell’importanza personale. Pur di procurarle cibo siamo disposti a rubare verità, cioè a mentire al prossimo. E a noi stessi, se il nostro stesso ottuso fare ci costringe all’angolo.
Così, avanziamo sospinti in avanti dall’irrefrenabile inerzia della nostra biografia. Dentro lei troviamo chi siamo e, senza avvedercene, contemporaneamente permettiamo agli altri di riconoscere se stessi. Ma c’è un lato in ombra, sempre svisto, sul quale è scritto che gli Altri non sono che dei noi in altro tempo e modo e, che di verità reciproca e caduca sempre si tratta.
È la natura che riguarda i saperi che costituiscono le competenze citate prima. Non è un’informazione secondaria quando emerge alla superficie della consapevolezza. Implica una scelta radicale: seguitare a far prevalere la nostra verità, quindi, per eliminare l’Altrui? O, riconoscere pari dignità a chiunque, e quindi agire nel rispetto del prossimo e nella carnale tolleranza dell’Altro?
Alle prese o in lotta con le poche o tante carte dei nostri pensieri, ci sentiamo come il pokerista al tavolo. Con la differenza che il giocatore afferra o perde davvero la verità, la posta, del limitato campo in cui gioca. Chi più, chi meno, gli uomini al tavolo della vita fanno il loro gioco in cerca della verità che li riscaldi. Ma, il loro campo è infinito: ogni vincita è solo apparente.
“Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo […]”.
Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza.
Tuttavia, alcuni riescono a sottrarre se stessi dal ciclo egoico del desiderio, dalla matrice egoica di se stessi. Riescono a liberarsi dalla dipendenza e dalla relativa assuefazione. Si osservano e si scoprono burattini, comandati da una logica che chiamavano realtà, che credevano verità. Quella con la quale la loro madre li aveva allattati. Quella oltre la quale non v’erano che chimere e utopie.
“M.[aestro] […] Il desiderabile è immaginato e voluto, e si manifesta in modo tangibile o concepibile. Così viene creato il mondo in cui viviamo, il nostro mondo personale. Il mondo reale è al di là della comprensione mentale; noi lo vediamo attraverso la rete dei desideri, diviso tra piacere e dolore, giusto e sbagliato, interiore ed esterno. Per vedere l’universo quale è, devi andare oltre la rete. Non è difficile perché è piena di buchi.
- V. [isitatore]: Che vuoi dire con ‘buchi’? E dove li trovo?
M.[aestro] Osserva la rete e le sue molteplici contraddizioni. Sei tu che fai e disfi a ogni passo. Vuoi pace, amore e felicità, e ce la metti tutta per creare dolore, odio e guerra. Vuoi la longevità e mangi troppo, vuoi l’amicizia e sfrutti gli altri. Guarda la tua rete e rimuovi le contraddizioni di cui è composta: il solo fatto di osservarle le fa sparire”.
Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello.
Il mondo dentro noi
“La gente passa la vita accettando di essere il proprio ego […]”.
Jean Klein, La naturalezza dell’essere.
È il momento della solitudine e dell’estraneità. Tuttavia, quelle logiche – che tanto ci avevano appassionato inconsapevoli del ruolo che recitavamo – irradiano ancora la loro crassa materia. Per renderla vana, per trasformarsi in stealth nei confronti di quei campi d’energia satanica, si dovrà fare un ulteriore sforzo, fino all’egocidio di quell’io che avevamo venerato.
“Non mi interesso dei desideri e delle paure della gente. Vivo in accordo con i fatti, non con le opinioni. Una persona qualsiasi scambia per se stesso il nome e la forma che ha, mentre io non prendo niente per me stesso. Se dovessi pensare di essere un corpo che porta un nome, non riuscirei a rispondere alle tue domande. Se ti considerassi soltanto un corpo, non trarresti beneficio dalle mie risposte. Nessun vero maestro si fa prendere dalle opinioni. Vede le cose come sono e le mostra per ciò che sono. Se prendi le persone per ciò che pensano di essere, farai loro solamente del male, come loro ne fanno continuamente e crudelmente a se stesse e agli altri. Ma se le prendi per ciò che sono in realtà, fai loro un bene enorme. Se ti chiedono cosa fare, quale pratica adottare, che stile di vita avere, rispondi: ‘Non fate niente. Semplicemente siate. Nell’essere tutto accade naturalmente’”.
Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello.
Superare il muro delle ideologie, andare oltre le ultime superstizioni, che era parsa cosa fatta, mostra ora delle difficoltà. Le loro doti istrioniche e mimetiche sono geniali. Dimostrano che non basta capire; che la consapevolezza è cosa vuota se priva delle motivazioni necessarie ad una ricapitolazione individuale che porti all’incarnazione e, dunque, all’espressione dei nuovi valori.
Ma non finisce lì. Anche se ci pare di essere andati oltre la vulgata degli affanni, è sempre e comunque la nostra biografia a dare il registro alle nostre certezze. Accreditando questa ipotesi, pure i cosiddetti evoluti non sfuggirebbero a questa semplice osservazione. Come al cinematografo, tutto esiste solo sul piano in cui, consapevolmente o meno, lo spalmiamo.
È un gioco di specchi e non esclude nessuno. Dal semplice al complesso, il riflesso non fa distinzione. Nonostante l’impegno ad astrarsene, ovvero a raggiungere il punto culminante in cui le linee del vero e del falso convergono, giocoforza tutti compiamo il nostro gioco sui campi della storia. Ognuno dei quali ha medesima struttura, fosse uguale a quella di papà o dei suoi succedanei.
“M.[aestro] Oh, no! Io vivo in un mondo di realtà, mentre le tue realtà sono immaginarie. Il tuo mondo è personale, privato, non condivisibile, intimamente tuo. Nessuno può entrarci, vederlo come lo vedi tu, sentirlo come lo senti tu, provare le tue emozioni e pensare i tuoi pensieri. Nel tuo mondo sei veramente solo, intrappolato nel tuo sogno che cambia in continuazione e che tu scambi per la vita. Il mio è un mondo aperto, comune e accessibile a tutti. Nel mio mondo c’è comunanza, introspezione, amore, vera qualità; l’individuale è il totale, la totalità è nell’individuo. Tutti sono uno e l’Uno è tutti”.
Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello.
Come in ogni gioco, anche stavolta, seduti al tavolo del punto evolutivo che crediamo di aver raggiunto, siamo costretti al giudizio, a creare categorie, norme e gerarchie. Siamo costretti ad identificarci in esse, quantomeno per mantenerle, per ritrovarci nel buio e nel caos. La rispettabile intenzione di riuscire ad eludere l’ordine della storia, pare solo una volatile opzione.
L’analisi che mettiamo in campo – appunto – tanto per risolvere, quanto per creare problemi, si muove utilizzando quelle categorie, fisicamente frattaliche e metafisicamente quantiche per ontologia. È questa la natura della storia e anche del tentativo di superarla? Nel caso, l’uomo, ogni volta come fosse ottuso, non fa che perpetuare il percorso compiuto dai padri e dai suoi figli.
Ogni volta, come l’alpino Giuanin, di Mario Rigoni Stern, ci chiediamo: “Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?” (Il sergente nella neve, Einaudi) Ovvero, se quanto abbiamo compreso è realmente verità superiore a quella vantata da altri. Se il diritto spetta dunque più a noi che ad altri. Se finalmente possiamo sederci a riposare.
Ma allora, Cristo (perdono) ed altri (accettazione), che ci hanno dato prova di cosa abbiamo in potenza quando allontaniamo il punto d’attenzione dal magnete egoico, che ci hanno indicato cos’altro c’è in noi oltre all’idea di noi stessi, l’hanno fatto solo per sottrarci al peggio? O il meglio che possiamo è ben altro, sebbene celato dall’ombra di quanto ci ha detto papà?
Se così non fosse il lignaggio dei marziali ha pieno diritto a regnare sul mondo.
“V.[isitatore] Perché neghi l’esistenza del mondo?
M.[aestro]: Non nego il mondo. Lo vedo apparire nella coscienza, che è la totalità del conosciuto nell’immensità dell’ignoto. Ciò che ha un inizio e una fine è soltanto apparenza. Del mondo si può dire che appare, ma non che è. L’apparizione può durare molto a lungo secondo una determinata scala temporale e molto poco secondo un’altra, ma alla fine il risultato è lo stesso. Tutto ciò che è legato al tempo è momentaneo e non ha realtà”.
Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello.