Scuola di Pensiero Forte [97]: le relazioni di potere: il dominio
Quale relazione del potere è conosciuta per eccellenza, se non quella del dominio? In lungo e in largo è probabilmente quella più iconica ed affermata nell’inconscio collettivo. Weber considerava il concetto di dominio, in tedesco Herrschaft, di centrale importanza nello studio politico, distinguendo fra un significato più generale e uno più specifico. Il primo indica semplicemente le struttura di relazioni di potere, dove c’è un soggetto che domina e uno che viene dominato, secondo uno sviluppo delle relazioni sociali che è considerabile come naturale ed usuale.
Traccia allora la distinzione tra il dominio costituito in virtù di una costellazione di interessi e quello in virtù di una autorità, che è legato al potere di comando vero e proprio, con tutti i meccanismi coercitivi. Il dominio in senso stretto esclude il primo ed è identificato con il potere autoritario di comando, dovendo intendersi come il fenomeno per cui una volontà manifestata del detentore del potere vuole influire sull’agire di altre persone, e lo fa effettivamente tanto da indicare la direzione dell’azione dei dominati, anche a livello sociale.
Le distinzioni weberiane si riferiscono a dei tipi ideali di dominio; nella realtà i confini non sono così definiti, perché nella società post-moderna sono fluide persino le applicazioni dei concetti alla realtà; ma proprio per tale ragione è necessario più di prima definire con chiarezza gli stessi concetti. Consideriamo, allora, quanto ogni raggruppamento di interessi possa arrivare ad essere motore di una forma di dominio autoritario, cosa che avviene continuamente ad esempio nel mercato, dove le relazioni fra gli agenti finanziari vengono formalmente istituite e regolamentate, dando vita a gerarchie costituite pubbliche o private. Subito notiamo come, per far funzionare queste strutture, debbano entrare in gioco quei meccanismi teoretici del potere di cui abbiamo parlato in precedenza, altrimenti avrebbero luogo questi rapporti e non sarebbe possibile una istituzione formale come la conosciamo.
Con il concetto di Herrschaft, Weber volle identificare le relazioni strutturate fra superiori e subordinati, ove a fulcro vi sono le forme coercitiva e di obbedienza. Ora, la varietà delle combinazione è tanta quanto varie sono le singolarità di ciascuno; l’ipotesi del pensatore tedesco è che nessun dominio può accontentarsi per sua volontà di fondare la propria permanenza su motivi che siano esclusivamente affettivi o razionali rispetto al valore, ma piuttosto ogni sistema cerca di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità, la quale sussiste grazie all’apparato determinato a sua garanzia e come essa stessa garanzia della sussistenza dell’apparato. Il dominio ha un carattere squisitamente sociologico, che Weber ebbe a suddividere in tradizionale, razionale-legale e carismatico. Questi non si riferiscono ai motivi dell’obbedienza o alle strutture di potere, bensì si basano su tipi di norme che specificano chi o che cosa debba valere come autoritativo. I tre tipi di autorità esprimono diverse tipologie di ragioni o fondamenti di obbedienza avanzate pubblicamente, sussistenti in determinate condizioni e corrispondenti a diversi tipi di amministrazione del potere. In poche parole, in una data associazione politica o in un dato ordinamento istituzionale tenderà a prevalere un determinato tipo di autorità: quella razionale-legale è propria dello Stato moderno e della burocrazia; quella tradizionale caratterizza le società patriarcali, patrimoniali e feudali; quella carismatica si presenta nei periodi di transizione nelle comunità di tutte le epoche e geografie. Un ulteriore tipo che va a mescolarsi è quello delle costellazioni di interessi propri del mercato e dell’economia, inerente il lavoro, che discende direttamente dalla modernità e trova massima espressione nel dominio monopolistico del mercato (fermo restando che si tratta di una questione empirica aperta, non esauribile nella sola teoria). La deliberata creazione di una economia mondiale aperta, propria del Novecento, si è tradotta nel passaggio dal dominio della politica a quello dell’economia, sovvertendo l’ordine del Bene comune a favore del bene di scambio, di un interesse privato di pochi.