Regeni e Matteotti: la stessa carambola

 

Regeni e Matteotti: la stessa carambola

Come un manichino, così improbabile nella posa, e così fitti i geroglifici azzurri che lo istoriavano, che da lontano – lontano dalla cunetta in cui era riverso – lo avresti scambiato per un animale, che fosse caduto da uno dei tanti camion che portano bestiame sull’autostrada: se ne vedono a centinaia, ogni giorno, su quella che collega Il Cairo ad Alessandria.

Era Giulio Regeni. Storia nota. Ciò che sorprende é che, immancabilmente, in presenza di delitti contornati da un alone politico, certi particolari sfuggono, non perché abbiano il potere di finire, rotolando come monetine da due centesimi, negli anfratti più oscuri della nostra coscienza critica, ma perché sono troppo vicini alla linea degli occhi e li ingannano diventando, con tanti altri particolari del tutto insignificanti, una composizione estemporanea, una specie di natura morta.

Mi sembra chiaro che gli assassini non volevano sbarazzarsi del corpo di Regeni, ma servirlo su di un vassoio di terra, a disposizione di quanti, transitando su quel tratto di strada, pieno di traffico, avrebbero agito inconsapevolmente da postini: con un messaggio altrettanto chiaro per qualcuno, e in codice per qualcun altro.

Il 10 giugno del ’24 – l’ultimo giorno di Matteotti – una FIAT Lambda era in attesa sul Lungotevere. L’automobile era un genere di lusso. Ne circolavano poche. Presero il numero di targa, Roma 55 – 12169, perché c’era un uomo che scalciava come un ossesso e un nugolo di persone che cercava di buttarcelo dentro. Risalirono agli autori e ai committenti dell’agguato nel giro di pochissimo tempo, ma cominciarono a porsi le domande sbagliate partendo dal cippo sbagliato, il 30 maggio, piuttosto che dal 7 giugno, data in cui il capo del Governo fece capire, in un discorso alla Camera, che era pronta una richiesta di collaborazione per i socialisti unitari capeggiati da Matteotti,  e focalizzando un pò a vanvera , sul 16 agosto, giorno in cui i resti della vittima furono rinvenuti sotto uno strato di terra sottile come un sudario, da un cane e dal suo padrone che passavano giusto di lì, vicino alla macchia della Quartarella. Ma si sa: la Storia intercettata a valle dai professionisti della propaganda e della politica, é come una vecchia radio a transistor, basta spostare di mezzo millimetro la manopola delle frequenze, e si diffonde un’altra musica, puoi sentire anche qualcuno gracchiare dall’altra parte del mondo.

Ricapitolando: in entrambi i casi, ciò che conta non é tanto l’omicidio in sé – provocato  dalla palla da bigliardo numero DUE – quanto l’effetto che esso produce nel colpirne un’altra ( la numero TRE, i rapporti tra Italia ed Egitto ), per la quale il giocatore solista aveva già preso una decisione, che schizzasse veloce, con lo schiocco di tutte le soluzioni definitive, dentro quella buca laggiù: quindi l’occhio della mente deve sottrarsi alla tentazione di fissarsi sulla biglia numero DUE – che ha anche ( come nel caso del delitto Matteotti) o solo (come nel caso del delitto Regeni) una funzione strumentale – e soffermarsi più a lungo sul rapporto che si é stabilito, sin dall’inizio, tra il giocatore di bigliardo e  la palla che é andata in buca, la versione, riveduta e corretta, dell’apologo con cui viene condannato l’atto di  posare lo sguardo sul dito indice distogliendolo dalla luna.

Dieci giugno 1924, uno qualsiasi dei giorni compresi tra il 25 gennaio e il 3 febbraio del 2016: due palinsesti completamente differenti, con parecchie cose in comune, come la guerra sotterranea per la conquista delle fonti energetiche, e la tessera dei Servizi britannici che ricompare – un lucore timido ed intermittente – sul lato lungo del puzzle. Allora, così scrisse il redattore de ‘Il Popolo d’Italia’, coperto da uno pseudonimo, “non mi meraviglierei che dovesse risultare domani come la mano stessa che forniva a Londra all’On. Matteotti i documenti mortali, contemporaneamente armasse i sicari che sul Metteotti dovevano compiere il delitto scellerato’. Traduzione dal chiaroscuro al chiaro integrale: gli Inglesi hanno adescato Matteotti con una risma di carte nella quale vengono citati i nomi degli italiani corrotti dai petrolieri della Sinclair, e, nel contempo, ne hanno dato notizia, a coloro che si sarebbero dovuti muovere subito per impedirgli di farli pubblicamente. Scontato e matematico l’ultimo step della carambola. Il ‘compromesso storico’ del ’24 sarebbe saltato, il Governo a trazione fascista sarebbe caduto e l”Anglo Persian’ – cancellata la convenzione con la Sinclair – sarebbe ritornata in ballo, dopo che aveva visto mettere inopinatamente da parte i preliminari di un accordo che essa aveva firmato solo qualche mese prima col Governo italiano.

Al Cairo – dove contattava, per una ricerca commissionatagli dall’Università di Cambridge, i vertici del sindacato degli ambulanti, sospettato di pregressa e persistente collusione coi Fratelli Musulmani, nemici giurati di Al Sisi –  Regeni viene fatto trovare cadavere proprio quando arriva al Cairo il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, alla testa di un folto gruppo di imprenditori italiani che intendono contribuire all’incremento degli scambi commerciali con l’Egitto, con l’inevitabile conseguenza che la Guidi, informata del fatto, annulla la visita e fa immediatamente dietrofront per ritornare in Italia. Un drammatico passaggio a vuoto nelle relazioni fra i due Paesi che si erano impennate a far data dall’agosto del 2015, con la scoperta da parte dell’ENI, al largo di Port Said, del più grande giacimento di gas offshore del Mediterraneo, a cui venne dato il nome di Zohr: la parentesi di sinistra di una specie di idillio tra Italia ed Egitto che viene delimitato a destra dalla trasferta al Cairo della Guidi, ma l’uccisione di Regeni stona come un paio di scarpette da ballerina che spuntino da sotto una tenuta da palombaro.  Tranne che Regeni non ci fosse andato di sua spontanea volontà, ma ce lo avessero mandato. E tranne, inoltre, che qualcuno – metti  la Fondazione ‘Antipode’ o la stessa prof.ssa Abdelrahman, che gli aveva assegnato la ricerca, non avessero svolto, ancorché a loro insaputa, il ruolo della pallina numero UNO: eventualità, questa, che si unisce alla domanda su chi, nel mettere nel mirino i rapporti tra Italia ed Egitto, cementati dall’epifania di Zohr, potesse aver fatto arrivare, per vie traverse, ai Servizi egiziani una ‘dritta’ fatale: quella secondo  cui il povero Regeni era una spia pericolosa e che la sua attività nuoceva al regime del Rais.

E’ una tipica attitudine dei delitti a sfondo politico quella di manifestarsi  in punti spesso molto lontani da quello in cui é stato azionato l’interruttore, il percorso ‘creativo’ dell’acqua che si infila a ponente ed esce a levante, un rompicapo per l’idraulico, ma la poca dimestichezza che ho raggiunto negli anni con queste trame, ruspando negli archivi, mi fa dire che la possibilità  di annunciare, senza tentennamenti e senza mezzi termini, l’identità di chi si é mosso per primo impugnando la stecca, é addirittura più remota della possibilità di scoprirla. Cosi’ da sempre.

Torna in alto