Nonostante tutto, buon Natale!
Nei giorni scorsi il parlamento europeo ha rifiutato di esporre un regalo ricevuto da una deputata, affermando che avrebbe potuto offendere. Si trattava di un presepe. La rappresentazione della Natività, dunque, offende le delicate pupille degli europei del secolo XXI, eredi degeneri di quella nascita, di questa civiltà morente. Fotofobia, probabilmente: orrore della luce. Nulla di strano: quando ci si incammina sulla strada della follia, dell’odio di sé, della cancellazione della storia, del disprezzo per la trascendenza, tutto può accadere. Natale non è più festa: lo ha detto David Sassoli, il giornalista di regime divenuto presidente del sedicente parlamento europeo. Si riferiva alle restrizioni per il Coronavirus, peraltro allegramente accettate dalle chiese cristiane, ma confessava, in fondo, una verità fin qui non apertamente ammessa. Sassoli, megafono del progressismo internazionale, ha fatto chiarezza: Natale è morto. La risposta è la rivendicazione della sua continuità, come nell’annuncio del trapasso dei re: il Re è morto, viva il Re. Se Natale è morto, viva il Natale!
Nel laboratorio antiumano che è diventata la città di Barcellona, il sindaco, una comunista femminista di “orientamento bisessuale” (si dice così) ha proclamato per il 25 dicembre la “giornata dell’affetto” e per l’Epifania la giornata dei “bambini e delle bambine”. Il linguaggio inclusivo, nella terra che fu di Teresa d’Avila, è un obbligo di legge. Non ci lasciamo ingannare: la furia distruttiva dilagante odia tutto ciò che è alto, innocente, luminoso, puro, incontaminato. Un paradosso fu segnalato già da Miguel de Unamuno: per loro, è simbolo di oppressione un bambino nato per la strada, senza mezzi, perseguitato da Erode, un re. La sua immagine può addirittura offendere, secondo la congrega imbalsamata che chiamano parlamento europeo.
Seguimi, disse il bimbo di Betlemme diventato adulto a un uomo dubbioso, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Siamo circondati da morti viventi che urlano e odiano. Aborrono la vita, la capacità di redenzione, il sacrificio, la bontà che può albergare l’essere umano, la sublime capacità di perdonare, inginocchiarsi e recitare una preghiera. Odiano il Natale, lo proibiscono poiché, infine, odiano il Bene e vogliono sostituire con il nulla la vecchia fede, quella che ancora fluisce nei ruscelli di carta argentata dei presepi fatti da mani piene di speranza. L’albero secco, sterile non potrà mai comprendere quello che dà frutti e ripara i viandanti con la sua ombra. L’albero secco è solo. Nessun uccello tranne il corvo si posa sui suoi rami senza vita. Per quanto profondo sia il loro odio e schiacciante la loro apparente vittoria, dobbiamo chiedere il perdono del Dio bambino per i morti che urlano.
Mentre si perde il senso del sacro, si moltiplicano le feste deprivate del contenuto sacro (Halloween, San Valentino, Pasqua stessa) a causa di una legge biologica: mano a mano che diminuisce ciò che è vivente, aumenta ciò che è sterile automatismo, riflesso, simulacro. Ogni vera festa si fonda su un bisogno e si realizza nell’accoglienza di un dono spirituale che per il fatto di essere ricevuto unifica tutte le volontà. Tra tutti i doni spirituali che gli uomini possono ricevere, nessuno è più sconvolgente della possibilità di rinascere a vita nuova, che è il senso dell’avvenimento di Betlemme. C’è qualcosa nel Natale che ci racconta della novità incessante del mondo, che lava, rinfresca e invita a liberarci del vecchio.
Si dice talvolta che Natale è una festa triste perché ci ricorda il paradiso perduto dell’infanzia, perché è enorme il peso dell’assenza delle persone che amavamo e non sono più con noi, per il dolore di troppe dolorose rotture familiari. Tutti piangiamo – più che mai quest’anno- perdite che ci hanno lasciato mutilati. Ma Natale ci insegna che il miracolo di una rifondazione della nostra vita è possibile, esattamente come Dio ha rifondato la sua diventando bambino. Prima del Natale, adorare Dio richiedeva di alzare gli occhi verso un cielo imperscrutabile e immenso; dopo, è sufficiente chinarsi, entrare in una grotta e riconoscere la fragilità di un neonato. Il dono spirituale del Natale è un completo sovvertimento delle categorie mentali, uno sconvolgimento radicale dell’universo. E se il mondo intero è cambiato quando è nato quel bambino, possono farlo anche le nostre vite, se abbiamo l’umiltà di abbassare la testa per ricevere il dono.
Il nostro tempo mira a trasformare il Natale in una festa laica, anzi irreligiosa. Scrive Marcello Veneziani che per la prima volta nella nostra vita e forse nella storia della nostra civiltà, sarà un crimine e un azzardo festeggiarlo in famiglia. Una festa che non sia l’accoglienza di un dono spirituale che unifica le volontà e rende autentica la comunità non può essere una vera festa, ma solo un happening disperato, un baccano stridulo e agonizzante, un’abbuffata angosciata. Succedanei e parodie grottesche che possono sedare provvisoriamente il dolore che tormenta un uomo quando decide di amputare, scacciare, negare un elemento intrinseco alla sua natura. Non c’è felicità senza una piena accettazione di sé; e ciò che siamo include la dimensione spirituale, che non può essere rimossa senza minare la nostra essenza. L’uomo contemporaneo, espellendo Dio dal suo orizzonte di vita, è diventato un essere dimezzato in cerca di lenitivi o euforizzanti per il dolore dell’amputazione. Terminati gli effetti artificiali, sente di nuovo il dolore della perdita, la nostalgia dello stato originario in cui non aveva ancora respinto i doni spirituali.
Spogliata di quei doni, la nostra vita è simile a quella del gallo decapitato che corre ancora senza direzione mentre muore dissanguato. Sono gli effetti di un’amputazione magistralmente riassunta da Chesterton: “Togli il soprannaturale e non incontrerai il naturale, ma l’innaturale”. In questo Natale con il fantasma del coronavirus che infetta corpo e anima, più limitate sono le dosi di anestetico con cui nascondiamo il dolore prodotto da quell’amputazione. Nessuna festa, nessun evento di massa, coprifuoco, solitudine: il consumismo bulimico perderà peso. Saremo più spezzati e smembrati che mai, neppure in grado di riunire l’intera famiglia. Sarà un Natale con troppe assenze amare, ma anche meno rumoroso, meno frenetico, meno isterico; più appartato e umile, forse ci permetterà di renderci conto della nostra fragilità. Chissà se oseremo chinarci per entrare nella grotta di Betlemme dove ci aspettano i veri doni, quelli dello spirito e della rinascita. Nonostante tutto un buono e santo Natale agli uomini di buona volontà.