La guerra civile, oggi

 

La guerra civile, oggi

Fece scandalo quando uno storico, Claudio Pavone, ebbe ad ufficializzare come “civile” la guerra combattuta in Italia, tra il 1943 e il ’45, in cui si fronteggiarono i reparti in armi della Repubblica Sociale e le bande partigiane. Venendo da sinistra, le critiche finirono per smorzarsi e, alfine, si accettò la definizione. Così, anche se con maggiori polemiche e ritrosie, nel caso di Renzo De Felice per la sua opera monumentale su Mussolini e, poco prima di morire, nel proporre la tesi delle “zone d’ombra”, cioè di quella maggioranza della popolazione che assistette, passivamente, allo scontro in atto, auspicando solo il rapido cessare del conflitto (considerato anche da De Felice come guerra civile pur coinvolgendo delle minoranze).                                                          

Già, nell’antica Roma, lo scontro tra fazioni avverse all’interno della “res publica” si rilevava il più nocivo, il più feroce tanto da minare le basi stesse della convivenza e delle istituzioni. E, successivamente, fra coloro che si proclamavano i “Cesari”. Così la storia… fino alla teoria della “guerra civile europea” dello storico Ernst Nolte.

Una guerra civile, oggi. Non per una visione del mondo, per delle idee annunciate e difese faccia al sole, scritte sui drappi e nel cuore, bastoni e barricate, cantate per le strade. No, una guerra contro un nemico invisibile, il più devastante e segreto, che si annida in ciascuno di noi, una guerra verso tutti contro tutti, possibili nemici con una sola insegna, una unica divisa, la mascherina. In ogni luogo, in ogni istante. Non è casuale che, di fronte alla pandemia (concreta o indotta nel fisico e nello spirito), si parli di governo d’emergenza, che s’usava appunto formulare in caso di conflitto e si richiedeva unità d’intenti e di forze politiche sociali economiche. (In)civile – untori di manzoniana memoria – nessuno escluso tutti colpevoli perché in campo solo la nuda esistenza, il primo e solo terrore il perderla. All’etica alla cultura agli affetti insomma alla complessità dell’umano, si formula e si sta imponendo la visione della riduzione a formule biologiche di ciò che ci illudevamo essere il senso della nostra presenza e di ciò che ci distingueva dall’istinto degli animali, dalla natura delle piante. Ad esempio, quel poter dire “no”… (Ho citato sovente il poeta R.M. Rilke e il verso “e noi viviamo per dire sempre addio”, caro al filosofo H.G. Gadamer che, discepolo di Martin Heidegger, ne ripropone la suggestiva espressione come l’uomo sia, appunto nel possibile, “l’essere della lontananza”. E, ancor più in là, il sì e il no del pensiero di Nietzsche, ombra inquieta ed inquietante). Qui, in questa stagione di “guerra civile”, basterà riflettere su la vittoria dei tecnici e dei competenti (oscuri sciamani) che ci hanno imposto parole d’asservimento e perdita d’identità. La salute la sicurezza la vita divengono beni pubblici elargiti dallo Stato e, al contempo, è lo Stato stesso a decretarne la limitazione, la sospensione.                                                                                 

Guerra civile senza eroi né gloria. Mai, come oggi, la nostra privacy, quella “torre del nostro orgoglio e della nostra disperazione”, parafrasando Drieu, viene aggredita dall’immagine a tutto schermo di un anonimo professorino, estratto come coniglio dal cappellaio matto, espressione rassicurante della mediocrità e del politicamente corretto, e ci impone il gioco dei colori – il rosso l’arancione il giallo per un osceno carnevale. E noi che per destino (o fortuna) abbiamo prediletto il nero…                                                                             

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