L’evidenza inganna. Ciò che è visibile è più difficile da scorgere. Il grande inganno – trama spuria del mondo nuovo che avanza – procede accelerando il passo. La stretta finale è stata decisa da decenni, sotto i nostri occhi. Il meccanismo pare di una semplicità disarmante. Quasi possiamo udire la voce degli ‘edificatori di tale sistema’ dire: mostriamogli quello che accadrà, non lo crederanno possibile o lo assimileranno a piccole dosi. Sono rane che si faranno bollire; resteranno inermi ed increduli e la maggior parte di loro non si renderà conto di essere stata condannata ad una morte lenta e quasi indolore. Mancheranno di coscienza!
Abili e scaltri hanno succhiato fino all’osso la vitalità di chi non vuol vedere e continua a sonnecchiare nel brodo caldo della matrix.
Termine evocativo che ci offre l’aggancio infallibile! Siamo a Hollywood quindi, centro nevralgico della fabbrica di verità. Non solo luogo edificato dall’imprenditore H.J.Whitley alla fine dell’800, ma simbolo di tutte le creazioni filmiche. Luogo fisico e luogo immaginifico nell’immaginario collettivo poiché scenario di tutti i mondi possibili; pura fantasia e settima arte. Attribuzione data per legittimarne le maestrie e giustificare il sistema dei festival e dei danari che vi ruotano attorno creando una vera e propria mecca laica.
Da principio fu solo magia. L’idea si fece concreta. Dall’immagine nella mente, la sua fattualità. Ciò rese gli addetti al mestiere dei veri creatori. Basti pensare ai vocaboli con cui viene narrata la settima arte. Il cinema è un tempio laico che ha creato vere e proprie mitologie planetarie pescando senza sosta nella simbologia sacra, scippando al mondo divino la sua unicità. Basterà analizzare la terminologia in uso, da sempre, nell’industria cinematografica per cui avremo la star, o il divino e la divina. Non un caso. Gli dei vengono sostituiti, il cielo resta vuoto. Gli attori, soprattutto quelli del secolo scorso divengono degli immortali poiché il frame ferma il tempo e dona ai protagonisti di tale magia mille vite ed il dono dell’ubiquità, liberandoli nel loro doppio dalla storia ovvero dalla decadenza fisica. Perennemente giovani come gli dei immortali. Questo procedimento abilitato dal consenso collettivo rende l’attore un dio. Traccia della secolarizzazione quindi, la settima arte, ha desacralizzato il cielo a favore della terra creando una vera e propria mitopoiesi laica.
Ma non è questa l’imputazione principale. Vi è ben altro e si dipana tra le trame di questa analisi. Il cinema è proiezione, esternalizzazione. Chi lo guarda non agisce ma viene agito dall’immagine. Lo spettatore siede e non si muove. Prova emozioni che sono di altri. Non vive, si lascia catturare da passività in cui il gesto proprio non sussiste. La settima arte è pericolosissima! Lo è diventata soprattutto ai margini del secolo scorso. Dapprima l’evento che esplodeva nella sala, conservava una facciata corale. Gli spettatori interagivano tra loro, discutevano la trama, dipanavano la matassa. Il cinema era luogo di ritrovo ed eccezione al vivere quotidiano-profano. Un rituale quindi, quando ancora la piazza era luogo d’incontro e le case raccoglievano al loro interno almeno tre generazioni riunite. Ad oggi ed in maniera accelerata negli ultimi anni, l’appuntamento è scaduto ed il tempio laico si è frantumano in miliardi di luoghi isolati: le case dei singoli spettatori.
Il meccanismo si è inceppato a causa del divenire imposto; ovvero i piani scritti a tavolino da pochi e invisibili individui che tracciano l’andamento di ciò che deve essere. Potentati che ci desiderano singoli e soli, intrappolati in quattro mura confortevoli. L’esca è appetibilissima: confort da serie televisive. La nascita delle piattaforme internet per la trasmissione di contenuti video (CDN content delivery network) ha infatti visto negli ultimi anni una esponenziale crescita del suo utilizzo. La parola d’ordine: intrattenimento. Rintracciandone l’etimologia avremmo il latino ‘tenere’ dalla radice sanscrita TAN nel significato di stendere/tenere/ trarre a sé/impossessarsi.
E di possessione si tratta, marcandone per assurdo il senso. L’uomo nuovo viene depauperato della propria vita e posseduto dalla visione delle vite degli altri, la sua può attendere. Guarda, non vive, è affetto dalla patologia dell’inerzia. Uno degli altri aspetti della forza di gravità che ci tiene inchiodati al suolo, incapaci di tentare seppur un misero volo.
Ed ecco che le vicende narrate nelle serie televisive si snodato ogni sera davanti ad occhi secchi non più capaci, nella maggior parte dei casi di alzare lo sguardo al cielo. Le albe, i cieli stellati sono solo quelli catturati dal rettangolo a led ed il succedersi degli eventi non è più proprio. Con patos si seguono vicende sentimentali e azioni di personaggi che agiscono al posto dello spettatore. Si compie così uno degli atti finali della realtà virtuale. Artificio che ha in sé qualcosa di oscuro e programmato ad arte. I sentimenti umani divengono finzioni vissute intensamente da chi mente per professione e lo spettatore, passivo in tutto, resta immobile con i muscoli inflacciditi. Quello del cuore, involontario e sacro, corrotto dalla sola meccanica fisica; eppure il cuore è ben altro. Centro pulsante di tutte le umane emozioni, fuoco che spinge all’azione e all’amare. Di contraltare avremmo quindi uomini affetti da mollezza. Ignavi oltre ogni perdono. Tiepidi da essere vomitati poiché inermi nei fatti che lo richiamano all’agire quotidiano. Fin quando subiranno l’intrattenimento del vedere le storie degli altri, resteranno comodi sui loro divani e non si ribelleranno, pare dicano gli artefici di tale efferato misfatto. Le serie televisive sono quindi la nuova pillola che tiene in vita. Il composto è un anestetizzante dolcissimo con dosi di adrenalina in proporzione inferiore o minore in base alla storia narrata.
Eppure proprio l’industria filmica, prima del dilagante successo delle CDN, aveva mostrato ciò che sarebbe accaduto. La fabbrica di verità ha presentato la realtà a venire rendendola un assurdo. Il riferimento è rivolto al filone fantascientifico-distopico che attinse e attinge a capolavori letterari non letti o poco compresi da chi ne guarda solo il prodotto cinematografico.
Scacco matto quindi! Intelligenza artificiale, androidi, viaggi spaziali, solitudini … tutto è stato mostrato; il re è nudo.
L’uomo macchina ciò nonostante avanza, ignaro degli avvertimenti seppur posti di fronte a lui. Siamo affetti dalla patologia transumana del dispositivo e gli occhi sono spalancati davanti alla finzione-realtà che rende gli uomini incapaci di ritrovare la propria umanità, il proprio eroismo e di vedere la realtà.
Proprio un atto eroico dovrebbe permettere ad ogni individuo di spegnere i vari schermi in un unico rivoluzionario gesto planetario, lanciando il cuore oltre l’ostacolo, tornando alle storie narrate di fronte un fuoco sacro. Il passato ci sia da guida. Il futuro è già qui ed ha il sapore acre di una prigione grande quanto il mondo, replica in grande scala delle singole abitazioni dove ognuno è solo e perso. C’ è quindi da chiedersi, riprendendo il discorso che Morpheus fa a Neo nel popolare Matrix- uno dei più celebri film della fabbrica di verità- quant’è profonda la tana del bianconiglio? E come ritrovare il coraggio per attraversarla?