Scuola di Pensiero Forte [106]: l’evoluzione politica della società

 

Scuola di Pensiero Forte [106]: l’evoluzione politica della società

Come già abbiamo detto, l’uomo è un essere politico[1], o sociale che dir si voglia, e lo è per eccellenza fra tutti gli altri esseri sulla Terra. Riconoscendo questo tratto distintivo, giungiamo a capire che vi è un’esigenza della società quale forma di vita prediletta per il raggiungimento del fine ultimo individuale e collettivo. Il mondo antico comprendeva in un unico concetto il vivere socialmente e il vivere politicamente, senza distinzione netta fra legami sociali e legami politici, tanto che il concetto di “Stato” sorgerà particolarmente tardi, venendo prima incluso in ogni discorso di tipo sociale e politico. C’è dunque una vera e propria evoluzione politica della società, che è andata specializzandosi e configurandosi in modi diversi nel corso dei secoli, fino ad arrivare alle forme attualmente conosciute e certo non ultime e definitive. Vediamone passo dopo passo il cammino.

La polis greca era una specie di democrazia senza Stato in cui il vivere politico era tutto risolto nel convivere nella polis, città costituita in koinonia, cioè in comunione, dunque comunità; qui il demos sovrano riassorbiva tutto, senza necessità di scorpori o distinzioni tra popolo sovrano quanto a titolarità e altri sovrani quanto ad esercizio. Non era presente quella verticalità che è tipica dello Stato moderno, così come era assente l’estensione dello Stato stesso. Ora, la polis era dotata di poteri sovrani seppur di ridotta entità rispetto a quelli da noi intesi oggigiorno, poteri fondati sulla legittimazione del popolo ed anche con la Costituzione, che Aristotele definiva come «ordinamento delle magistrature»[2] che costituisce, appunto, l’ordinamento della polis. In secondo luogo, è doveroso specificare che sebbene la letteratura classica non lo dichiari espressamente, è noto che in tutte le società politiche esistono delle organizzazioni indipendenti, superiori anche se non riconosciute, dotate di quel carisma di pienezza dei poteri tanto di influenzare la stessa Costituzione politica.

L’aspetto del territorio è un altro elemento molto importante per il passaggio storico-evolutivo in vista dello Stato. Mentre l’antica polis era circoscritta a delle modestissime dimensioni, quelle della città stessa, col passare del tempo l’estensione territoriale è andata configurandosi quale dato imprescindibile per potersi dire ente politico degno di nota e potere. Aristotele sul tema non lascia dubbi: è ben consapevole che uno Stato possa essere di diverse dimensioni, più o meno grande (cioè non esteso e poco popolato), perché è rilevante più del numero degli abitanti la capacità e perché «lo Stato ha un compito determinato» ed è «veramente grande se è in grado di assolverlo»; chiarisce l’importanza del territorio di uno Stato per l’autosufficienza di esso – il quale riguardo alla estensione e alla grandezza dovrebbe essere tale che gli uomini possano viverci in ozio, in maniera degna di essere uomini liberi e insieme sobri e deve essere di difficile accesso per i nemici, di facile sortita per gli abitanti – e della quantità della popolazione «che doveva essere abbracciata con un unico sguardo»[3]. L’idea di Stato include in questo senso quella di polis.

Il fu Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia Vittorio Emanuele Orlando, da professore di diritto e dottrine politiche, ha individuato le fasi dello sviluppo storico dello Stato: parlava di “progressione” ed “affinarsi dell’astrazione”, di graduale emersione storica dei tre elementi giuridicamente costitutivi e connotativi dello Stato, ovvero il popolo, il territorio ed il governo, e non escludeva l’esistenza dello Stato nell’antichità classica, seppur ritenendo che «la parola indicativa del fenomeno dello Stato è ricercata e trovata in uno solo dei tre elementi di cui lo Stato stesso consta»[4], ovvero nell’aderenza al singolo dato materiale: il territorio (polis) prima, il popolo poi e finalmente il sovrano (impero)»[5]. Dalla forma per così dire primitiva della città-stato greca si era passati a quella più sviluppata del periodo romano, in cui «la pluralità degli uomini conviventi fu considerata come un’unità»[6]. Di fatto il Populus Romanus Quiritium fu il caratteristico momento dell’unità statale per «l’organizzazione del gruppo sociale ancora più evidente nell’altra espressione Senatus Populusque Romanus, perché non si ha il popolo (equivalente a “Stato”) come nozione generale, ma bensì quel dato popolo (il romano)»[7]. La res publica indicava l’interesse comune quale «altro aspetto dell’unità, caratteristica suprema della nozione di Stato; così come l’impero designava il territorio quale criterio unitario in quanto soggetto ad un solo sovrano»[8].

 

[1] Aristotele, Politica, I.

[2] Ivi, VI,1317 b. v. altresì VI,1321,b, passo ove è affermato che “senza le magistrature indispensabili è impossibile che uno Stato esista, senza quelle che promuovono il buon ordine e l’armonia è impossibile che sia ben governato”.

[3] Ivi, VII,1326b.

[4] V. E. Orlando, Il nome di Stato, in Teoria giuridica dello Stato, in Diritto pubblico generale, III, Giuffrè, Milano 1954, p. 185 e ss.

[5] Ivi, p. 190.

[6] Ivi, p. 189.

[7] Ivi, p. 188.

[8] Ibidem

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