APPROFONDIMENTI: Cronache dal manicomio, la matematica politicamente scorretta
Cronache dal manicomio. In una vecchia vignetta si vedeva un edificio con la scritta manicomio e al cancello un ricoverato sporgersi verso la strada per chiedere a un passante: come si sta, lì dentro? Uno dei pilastri dell’ironia è il capovolgimento. Il sano di mente è costretto a vivere in un manicomio grande quanto il mondo, e la risposta al matto (in realtà savio?) è che non si sta affatto bene, qui “dentro”. Siamo tentati di inaugurare una rubrica di cronache dal manicomio-mondo in cui ci tocca vivere. Iniziamo con una preziosa chicca: le matematiche – aritmetica, geometria e fisica – sono discriminatorie e suprematiste, dunque politicamente scorrette. Ovvio che sia urgente correre ai ripari. E’ quello che sta accedendo nello Stato americano dell’Oregon, una sezione efficiente del manicomio.
Premessa: l’origine principale, se non unica, delle follie postmoderne sono gli Stati Uniti, centro di irradiazione di ogni stupida novità “intersezionale”, progressista e politicamente corretta. E’ tanto folle smettere di considerare un modello quella nazione e decretare una specie di embargo, un divieto di importazione dei prodotti culturali avvelenati di provenienza americana, epicentro della cultura della cancellazione? Altro che l’atlantismo sciocco e servile proclamato a gran voce anche dal nuovo viceré in conto terzi, Mario Draghi.
Fatto sta che il dipartimento dell’educazione (una parola grossa!) dell’Oregon ha stabilito le linee guida per la formazione dei docenti e svolto un corso intitolato “un nuovo cammino per l’insegnamento delle matematiche in equità “. Il titolo fa rabbrividire, ma il peggio è che il programma si inserisce nel seno delle attività promosse dallo Stato dell’Oregon – una pubblica istituzione – all’interno di un’iniziativa chiamata “mese della storia nera”. Il lettore capirà meglio se useremo il termine “negra”, vietatissimo dalle beghine della correttezza politica. La filosofia dell’iniziativa (si dice così, pare che oggi tutto sia filosofia, tranne ciò che lo è davvero) è che gli studi matematici conducono a una discriminazione delle minoranze razziali, specialmente dei “latinos” e dei neri, pardon afroamericani. I musi gialli – così in America chiamavano sobriamente gli asiatici- sono esclusi, segno che vengono considerati in qualche misura culturalmente superiori, il che getta ombre pesanti sull’ossessivo antirazzismo e egualitarismo dei promotori.
La scoperta che cambia il mondo è che il teorema di Pitagora, la trasformata di Laplace, il binomio di Newton e il teorema di Rolle hanno a che vedere con le discriminazioni razziali e sono espressioni del suprematismo bianco nell’istruzione, che la nuova matematica (equa e solidale?) si propone di combattere. Credevamo di essere gli unici zucconi- per quanto maschi bianchi eterosessuali – a non capire granché di matematica e fisica. Ora sappiamo con sollievo che quelle ostiche materie indottrinano alla supremazia. Presto, con grande vantaggio per la democrazia, due più due potrà fare indifferentemente tre e mezzo o cinque. Questa sì che è libertà.
E non c’entrano neppure i teoremi di incompletezza di Kurt Gödel, matematico austriaco amico di Einstein, che espresse in formule inoppugnabili l’impossibilità di spiegare certi principi matematici al di fuori della matematica stessa. “Il teorema dimostra l’incompletezza sintattica dei sistemi assiomatici matematici, cioè l’impossibilità di dimostrare alcune proposizioni e il loro contrario dall’interno del sistema. Gödel mostrò che un sistema matematico non può essere dimostrato se non all’interno delle sue regole formali. In linguaggio scientifico, che un insieme di assiomi (proposizioni di partenza) e dei teoremi da essi derivati, non può essere allo stesso tempo completo e corretto. In altre parole un sistema matematico che non contiene errori deve avere almeno una affermazione sulla cui correttezza il sistema stesso non può decidere. “(fonte: <focus.it>)
Ora sappiamo che la comprensione delle oscure asperità concettuali dianzi esposte non dipendono dall’intelligenza e dal sapere, ma dall’odioso dominio dei soliti noti: maschi bianchi eterosessuali. Viene in mente un libro complicato ma imperdibile, Imposture intellettuali di Alan Sokal- fisico di alto livello- e Jean Bricmont, in cui vengono messe alla berlina molte assurde teorie postmoderne. Sokal arrivò a scrivere articoli, sostenuti da citazioni di illustri maestri, con tesi palesemente false e ridicole, ottenendone la pubblicazione e la recensione favorevole su accreditate riviste scientifiche.
Per i sapientoni postmoderni, le scienze matematiche, in quanto sapere formale di carattere oggettivo, epitome della razionalità in base al modello cartesiano-newtoniano, presentano un’immagine della realtà banale e piena di stereotipi. Insomma, due più due non fa più quattro. La categorizzazione binaria buono-cattivo, giusto-sbagliato, maschile-femminile, fa parte di una rappresentazione semplificatoria della realtà. In base all’antropologia strutturale di Claude Lèvi-Strauss, la catalogazione binaria della realtà non risponde alla struttura ontologica del mondo, ma a una precisa modalità di conoscenza. Siamo arrivati al punto: se la realtà, ovvero la natura, non piace all’occidentale postmoderno, abitante della terra del tramonto, al diavolo la realtà.
Da ragazzini, tra gli scout, faceva furore una canzoncina nonsense che consigliamo come inno agli intellettuali del manicomio-mondo (occidentale): “La macchina del capo ha un buco nella gomma, e noi la ripariamo con il chewing gum.” Il livello è lo stesso. Il corso dell’Oregon sottolinea che i docenti di scienze matematiche, attraverso “l’attuale approccio pedagogico”, contribuiscono a perpetuare “stereotipi razziali che producono enorme sofferenza a comunità e gruppi sociali storicamente sottoposti a discriminazione strutturale”. L’ approccio fondato sul suprematismo bianco impedisce che i membri di quelle comunità “razzializzate” possano avere pieno accesso al mondo della matematica. Fino a ieri, pensavamo solo di essere avere la testa dura, non avendo mai capito granché di analisi, teoremi e ancor meno di fisica, ma forse nel nostro sangue – sarà la legge di Mendel sull’ereditarietà, quella che ci spiegavano con i fagioli di diverso colore- restano tracce di razze non caucasiche.
La cosa più sorprendente è che queste vestali dell’uguaglianza e dell’antirazzismo forniscono senza volerlo argomenti formidabili a chi volesse sostenere la superiorità dei popoli che hanno espresso i grandi della matematica e della fisica. Comunque, un fatto è certo, nel manicomio progressista: la matematica genera disuguaglianza, così assertiva, autoritaria, perfino totalitaria nella sua enfasi della risposta giusta, della soluzione corretta ai problemi che stabilisce gerarchie tra buoni e cattivi studenti. In più, nell’Oregon sono inquieti per la didattica a distanza, che obbliga a lavorare autonomamente sui problemi proposti-imposti, il che fomenta la cultura dell’individualismo. Questo è in parte vero, ma non riguarda affatto la tesi principale, quella di una sorta di ingiustizia strutturale degli studi di matematica e fisica secondo i parametri dell’uguaglianza ossessiva e dell’antirazzismo (???).
In più – ed è questo, par di capire, lo scandalo massimo- nei programmi appaiono solo matematici bianchi occidentali vincolati a potenze imperialiste. De te fabula narratur, non ti accorgi che parli di te stesso, educatore politicamente corretto dell’Oregon. Viene ignorato, si sdegnano, il contributo delle culture non occidentali allo sviluppo della matematica e si ignora sistematicamente la donna. A dire il vero, i numeri sono di origine araba, come la cruciale invenzione dello “zero”, già usato dai matematici indiani al posto dello spazio vuoto. Possiamo ancora affermare senza sospetto di suprematismo o di nazionalismo che la loro diffusione fu merito di un pisano, Leonardo Fibonacci, nel 1202 con il Liber abaci? Vale la pena ricordare che la città di Chicago ha negato l’intitolazione di una strada al concittadino scrittore Philip Roth per supposto razzismo. L’autore, di origine ebraica, nonostante una storia personale e un impegno letterario intriso di antirazzismo, è accusato di aver affermato che volentieri leggerebbe i capolavori della letteratura zulu, ma che sfortunatamente non esistono. All’indice l’autore del Lamento di Portnoy e di Pastorale americana, libri tra i più letti al mondo.
Alcuni anni fa divenne popolare un video che ridicolizzava l’influsso della correttezza politica e dell’ideologia identitaria/ugualitaria sull’insegnamento di matematica e fisica. Vi apparivano nozioni come intersezionalità, discriminazione positiva, rigetto della ricerca della risposta giusta. Si faceva la parodia dell’esito di tali insegnamenti. Il cortometraggio fu oggetto di attacchi da parte dei settori educativi legati alla nuova sinistra americana, che criticavano che si ironizzasse su un tema tanto serio come i metodi “inclusivi” dell’insegnamento e si presentasse come irrazionale la pedagogia progressista. Lo aveva capito Sokal: le imposture intellettuali progressiste, i suoi deliri pseudoscientifici non possono essere presi alla leggera. Pensiamo all’enorme influenza di Judit Butler, Jacques Lacan o di Bruno Latour, con la teoria sulla ricerca scientifica come costruzione sociale. Non sono curiose stravaganze espresse di teorici da dipartimenti universitari, ma cominciano a informare le legislazioni e far parte del vocabolario quotidiano.
Ovunque si realizzano delle specie di “piani quinquennali” fondati sulla discriminazione positiva, cioè sull’offerta di posti e opportunità per quote di sesso e razza, anziché premiare il merito: pura ingegneria sociale che fa discendere il livello delle classi dirigenti e delle scienze. Somigliano all’assurda politica industriale di Ceausescu, che ignorava la realtà della Romania e finì per costruire un apparato industriale deficitario e inefficiente. In più, si inonda la società di titoli accademici e di cattedre assegnate con criteri politici, considerando di fatto alcuni gruppi sociali – donne, minoranze etniche – come persone di serie B , da trattare con criteri diversi dalla capacità e dalla stessa uguaglianza, ledendo altresì le aspettative di chi non fa parte delle categorie da discriminare “positivamente”, che finiscono discriminate “negativamente”.
Nel caso delle scienze matematiche e della loro sottomissione al dogmatismo indimostrabile della correttezza politica (teorema senza soluzione), rammentiamo l’ultimo genio universale, Gottfried Wilhelm Leibniz, filosofo, matematico, giurista, teologo e linguista. Leibniz era un ottimista convinto che quello esistente sia il migliore dei mondi possibili, in quanto così pensato da Dio. Riprese l’idea dell’erudito medievale Raimondo Lullo di un alfabeto del pensiero umano, secondo il quale, “quando sorge una controversia, non ci sarà più necessità di discussione tra due filosofi di quella che c’è tra due calcolatori. Sarà sufficiente prendere una penna, sedersi al tavolo e dirsi l’un l’altro: calcoliamo (calculemus)!”. Non prima di aver verificato che le macchine non siano state programmate dai soliti noti: scienziati bianchi, peggio se maschi eterosessuali, e riempite dei loro errati pregiudizi.
Il pronostico di Leibniz, inventore tra l’altro del calcolo infinitesimale, i cui risvolti suprematisti ignoriamo, ma che non saranno sfuggiti all’occhiuto esame di correttezza politica, etnica ed egualitaria dell’Oregon, si è realizzato al contrario. Il mondo moderno mostra una tendenza all’oscurità, a forme esacerbate di relativismo e dogmatismo, posizioni tutte che confluiscono nella categoria dell’inganno. Paradossalmente, da un lato si innalza sul trono la scienza, nei fatti si nega che esistano verità oggettive, calcolabili e non calcolabili, ma non si mette in dubbio che si possa ingannare con un arsenale di nuove verità alternative, tutte al servizio degli interessi di chi è più potente. Leibniz alla rovescia, poiché le tecnologie di informazione e comunicazione, propiziate da scienze come la matematica e la fisica, finiscono per essere utilizzate per eludere e reprimere il pensiero, cancellare la memoria personale e collettiva e assoggettarla alla dittatura dei dati: alla fine, avrebbe concluso Marx, lavorano per il Re di Prussia.
Tutto è calcolo, ma lo scopo è evitare che calcoliamo per nostro conto. Alla fine, piaccia o no alle anime belle dell’Oregon e dell’universo mondo, qualcuno prende assai sul serio le conoscenze che derivano dalla matematica, le trasforma in tecnologia e se ne stropiccia di tutte le sciocchezze politicamente corrette. C’è del metodo in quella follia, al più alto livello. Con lo specchietto per le allodole dell’uguaglianza, della correttezza politica e del rispetto per le minoranze si diffonde l’ignoranza, si abitua il cervello a non calcolare, ovvero a non ragionare, a non esercitare il libero arbitrio, il pensiero che sceglie e critica. Tanto, ci pensano gli apparati, inventati da chi le scienze le ha studiate sul serio, trovando la soluzione dei problemi senza fisime sul pensiero binario o l’autoritarismo di ciò che è esatto.
Per questo è il caso di prendere finalmente sul serio la follia della cultura occidentale degli ultimi decenni, guazzabuglio di marxismo senza comunismo, ugualitarismo senza uguaglianza, (i super ricchi non sono mia stati così potenti e i poveri tanto miseri e numerosi) libertarismo senza libertà e scientismo senza scienza. La grande cancellazione avanza e consegue ogni giorno nuovi obiettivi. Mettere nel mirino le scienze matematiche dimostra fino a che punto sono arrivati.
Il problema è il solito: perché nessuno reagisce? Perché non li abbiamo seppelliti con una risata grande quanto il mondo all’inizio del XXI secolo? Perché non cerchiamo di recuperare il ritardo accumulato e non li incalziamo con le armi della realtà e della verità? Perché solo pochissimi danno battaglia sul terreno morale, politico, filosofico, culturale? Conquistano, gramscianamente, ogni giorno nuove casematte; ad ogni bandierina piantata, impediscono il dibattito, tagliano le comunicazioni, fanno terra bruciata in nome dell’uguaglianza, del grottesco “discorso di odio”, della dittatura degli umiliati e degli offesi, sempre più sinonimi del dominio di una casta di svitati per i quali servirebbe ogni anno un’edizione aggiornata dell’Impostura intellettuale di Alan Sokal.
E noi in silenzio, per miseria morale, conformismo, confusione mentale, opportunismo. Ma due più due continuerà a fare quattro, la neve rimarrà bianca e i genitori saranno sempre papà e mamma. Se non ci crediamo più, accomodiamoci nello zoo postmoderno in cui più gente entra, più bestie si vedono.