All’inizio fu il mito

 

All’inizio fu il mito

Chi conosce un po’ di storia dell’arte ha probabilmente a mente la riproduzione del ‘ratto d’Europa’ del Tiziano il più famoso, ma vi sono anche del Veronese o di Rembrandt e, poi, quelli più recenti del XX secolo.                                                             

Già in Esiodo e in Omero se ne trova traccia, provenendo da diverse tradizioni orali antecedenti. E il mito, ormai sappiamo, non è la favola da raccontare ai bambini perché prendano sonno, ma eco di storie, espresse attraverso il linguaggio ricco di simboli e immagini e pulsioni del cuore. Del resto il linguaggio del corpo si rende ben più complesso di quello della mente e della reiterata superiorità della ragione. Se ne fece interprete, ad esempio, Louis-Ferdinand Céline che ebbe a dire: ‘L’emozione è la verità’. Così la pensava Mishima Yukio, difensore del corpo tanto da realizzare per se stesso l’estremo sacrificio tramite il rito del seppuku. E io con loro.                                 

Cosa narra, dunque, il mito? Figlia del re dei Fenici, la principessa Europa e le sue ancelle scendono sulla spiaggia e vi trovano un toro tutto bianco dalle forme belle e dall’aspetto mansueto. Attratta vi monta sopra, ma questi la rapisce portandola oltre il mare, nell’isola di Creta. Qui si rivela essere Zeus, mai sazio della bellezza femminile, che la possiede.  

Dunque il tema del rapimento – si pensi a Paride ed Elena, premessa della guerra di Troia e dell’Iliade, il poema della tradizione occidentale, tanto caro a Domenique Venner -, rapimento a scopo di matrimonio. Il toro – prima che il dio guerriero Mithra ne apra la gola con la lama del pugnale – simbolo di riti legati al calendario lunare (a forma di falce sono le corna del toro). Alcuni esempi, interpretazioni, suggestioni per indicare la complessità di un termine, Europa appunto, in tempi dove si parla di integrazione e di conflitto, di identità e multietnicità…                                                                                           

Da Oriente per dare nome alle terre d’Occidente. In un mito collaterale si narra come Cadmo, alla ricerca della sorella rapita, fondi la città di Tebe e doni l’alfabeto al popolo greco. (Anni fa Roberto Calasso, curatore della casa editrice Adelphi, pubblicò un robusto volume dal titolo Le nozze di Cadmo e Armonia. ‘Anche Tebe era un cumolo di rovine. Ma nessuno ormai avrebbe potuto cancellare quelle piccole lettere, quelle zampe di mosca che Cadmo il fenicio aveva sparpagliato sulla terra greca, dove i venti lo avevano spinto alla ricerca di Europa rapita da un toro emerso dal mare’. Così a conclusione).                                                                                                     

Oriente e Occidente ritroveranno, poi, in una sorta di rovesciamento di ruolo, nella vicenda del ‘nodo di Gordio’ un ulteriore senso. Colui che sarà tanto abile e pronto a scioglierlo conquisterà le terre oltre il mare Egeo. Di fatto non essendo un vero nodo a nessuno è dato riuscirci. Solo Alessandro, prima di volgere le armi contro il regno di Persia e spingersi fino alle terre bagnate dall’Indo e dal Gange, ne sarà capace: con un colpo netto di spada. L’azione – ancora una volta non il pensiero calcolante ma il linguaggio del corpo  – diviene la strada maestra per un Occidente che si forgerà tra conquista e dominio (Varrà la pena tornare a sfogliare il dialogo a distanza fra Ernst Juenger e Carl Schmitt dal titolo proprio Il nodo di Gordio, dove si confrontano il primo rilevando la priorità del pensiero occidentale, analitico e creativo, rispetto a quello orientale, mistico e estraniato; e il secondo a riproporre lo scontro eterno tra le potenze che hanno compreso il dominio sul mare e quelle ancorate alla terra, destinate alla sconfitta).                                                                                                                                                                        

Con Roma l’idea di Imperium si resse svettando le aquile sui labari e nel pugno dei legionari il gladio per secoli e, nella fase del suo declino e caduta, la Santa Romana Repubblica nel Medio Evo, tra il mito di Roma il Cristianesimo e il Germanesimo, comprese esserne testimone ed erede. Con Carlo Magno e Ottone III e Federico II di Svevia si levarono grandi figure, degne dell’eredità raccolta. Poi Lutero e la Riforma segnarono, nel XVI secolo, la fine di quella stagione, forse fragile e conflittuale, ma pur retta da un principio unitario: non fu più santa e non più romana e non più res-pubblica. L’Europa si ritrovò a indicare uno spazio geografico orgoglioso e litigioso, il nascere delle Nazioni. E altro e di più: gli usurai divennero banchieri, il denaro nobile conio a dimostrazione della grazia divina. Ed altro ancora…   

All’inizio, dunque, un mito. Proveniente da Oriente. E da Oriente asiatiche orde di assassini e stupratori a decretarne il fallimento. Finis Europae. Nel 1945, aprile, fra le macerie di Berlino, gli ultimi difensori rivendicano con il sangue il sogno infranto di un nuovo ordine europeo. Sono francesi (leggasi I leoni morti di Saint-Paulien?) e scandinavi e spagnoli e di altre innumerevoli nazionalità accanto ai quindicenni della HJ armati di fede immota e qualche panzerfaust. Non più per Giulio – soprannome dato benevolmente ad Hitler -, chiuso nel bunker e ormai pervaso da apocalittiche e wagneriane visioni, ma per la civiltà europea.                                                                    

Al termine del precedente conflitto mondiale il poeta Ezra Pound aveva elevato lode a coloro che ‘morirono a migliaia – e i migliori, fra quelli, – per una vecchia cagna sdentata, – per una civiltà rattoppata, – fascino che fioriva in sorriso dalla bocca mite, – occhi vivi scomparsi sotto le palpebre della terra, – per qualche centinaio di statue rotte, – per poche migliaia di libri a brandelli’.                                                                              

L’amico Adriano Romualdi auspicava come l’estrema difesa di Berlino si ergesse a mito per la gioventù nazionale a contrapporsi a idee e ideologie nefaste e onnivore del ’68 e dintorni. Quelle tentazioni, sotto le bandiere rosse, frutto dell’uovo marcio della borghesia. Entrambe destinate essere illusorie ed effimere, parte del rotolio di un continente privato di anima e spina dorsale.                                                                       

Due miti, dunque. Cosa rimane? Questa Europa non è la mia Europa, non posso certo riconoscermi in essa. Posso, però, dire ad essa ‘:No!’ e pensare, se non sono più in grado di lottare, nella mia stanza ad altra e più alta Visione.                                                                                                                                       

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