Democratizzare la conoscenza della guerra, non eliminarla

 

Democratizzare la conoscenza della guerra, non eliminarla

Non dovremmo lasciare che ci tolgano la violenza dal cuore, per così dire. Il mondo contemporaneo si basa sul curioso assunto schizofrenico per cui la violenza deve essere espunta, ridotta, annichilita, silenziata, ma si deve continuare a farla nel modo e nei tempi più oscuri perchè è necessario. Il paradosso del drone, la violenza pulita, diventato il pilastro della presidenza più pacifista (secondo la propria narrazione) e “petalosa”, quella di Obama, è eloquente. Non che ciò sia nuovo. Nihil novum sub sole. L’Impero romano, al suo apice, l’età degli Antonini, procedeva nei fatti ad un processo simile. Alla maggior parte della popolazione non era ormai richiesto di fare il soldato, e la compenetrazione repubblicana e primo-imperiale tra centurione e contadino era dimenticata. La plebe operosa poteva dormire sonni tranquilli mentre lontano l’esercito romano, fatto di specialisti (e poi di barbari integrati) faceva “il lavoro sporco”, cioè difendeva le soglie dell’Impero.

Sembra quasi che vi sia una legge della Storia: mano a mano che le entità statali crescono in forza, progressivamente rigettano la violenza agli angoli di se’ stessa. Almeno a livello cosmetico, dissimulandola, soprattutto. A ciò, nei nostri tempi, concorre un progressivo invecchiamento della società, ed è noto come società più anziane siano società meno inclini alla violenza perchè dotate di una diversa percezione di costi e benefici (nonchè di autopercezione della propria forza). Per quasi tutta la sua storia la civiltà umana ha avuto a che fare con la guerra. Non in termini ideali, ma molto pratici. Era comune vedere marce militari, maneggiare armi, saggiare cosa significasse avere schiere di uomini armati dalla propria parte – o contro di se’. Era anche ben più drammatico. Nelle memorie individuali e collettive la guerra era una piaga comune. Fermentava nelle canzoni popolari, stavi nei racconti degli anziani, e spesso andare in guerra era un’esperienza che dava ad un vecchio o ad un reduce un livello di autorevolezza in una comunità. I grandi intellettuali inizio novecenteschi (su tutti Sorel) parlavano, non a caso, di “pedagogia della violenza”. Nel bene e nel (molto) male in termini di traumi irrisolti, oltre ovviamente alla violenza diffusa.

Non dobbiamo mai dimenticarci che la mente dell’uomo è solo superficialmente individuale. Noi sentiamo, pensiamo, cogliamo con la mente collettiva, che ha a disposizione un percolato e un deposito fatto di miriadi di cose. La storia e l’antropologia lo sondano. Non si ha solo il proprio cervello, ma anche quello collettivo. Che succede quando da questo cervello collettivo viene espunta una esperienza? Qualcosa di molto grave. Non accetteremmo mai di farci cancellare un ricordo di una delusione, o di una conoscenza acquisita in seguito ad un dolore, ma accettiamo che le acquisizioni culturali, antropologiche e storiche sulla violenza e la guerra siano progressivamente eliminate. O peggio, ricondizionate in termini colpevolistici. Così tutto il sapere intriso nell’epidermide umana sulla brutalità e austera grandezza della guerra diventa un’irritantissimo sforzo al senso di colpa. Ma psicologicamente è noto che il senso di colpa è una deiezione della presa di coscienza. Questo vale sopratuttto per le comunità.

“Democratizzare” la guerra vuol dire questo: riappropriarci della violenza come parte ineludibile della nostra storia di Genere Umano. Riappropriarcene attraverso la Guerra, forma ipostatica della violenza totale, che possiamo esplorare completamente. Non per farla, ma perchè senza profonda introspezione collettiva non c’è alcuna ricezione. Ci tolgono davanti agli occhi la violenza e in questo modo ci impediscono di prenderne coscienza, di percepirne l’austera grandezza o l’abissale ferocia. Siamo come bambini in gabbie d’oro. E quando verrà il momento (giacchè è la pace ad essere una parentesi, non la guerra) sarà veramente traumatico riappropriarci dell’orizzonte della violenza. E’ molto, molto importante tornare a studiare la Storia Militare, la storia delle guerre. Non solo per questioni inerenti alla conoscenza, ma soprattutto perchè non dobbiamo mai dimenticarci che esiste un’incoscio collettivo che non può essere menomato senza danni irreparabili.

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