Dall’homo oeconomicus all’homo oecumenicus
I pochi spiragli di cielo azzurro sembrano arretrare dietro la corsa delle nubi. E ai potenti non serve più nemmeno far la voce grossa, perché oramai è il popolo – o meglio bisognerebbe dire la massa – a invocare la pioggia. Fuor di metafora, questo è quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi, dove i vari gradi del potere si sentono ancor più rinforzati da una base che agogna sempre maggiori restrizioni e si è già assuefatta ad una libertà vigilata. Di fronte a questo incupirsi degli scenari, vediamo che le forze di chi, forse, manifesta un po’ di lucidità, iniziano ad affievolirsi, la speranza cede al fatalismo, o all’individualismo che aspetta soltanto soluzioni miracolistiche. Ma vi può essere vera lucidità in chi persiste nel guardare il mondo con gli occhi di ieri?
Da un cuore che si è conformato al giusto ritmo del Creato procede una retta visione «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», riporta il Vangelo di Matteo. La luce succede al suono, nella scala che congiunge la materialità all’immaterialità. L’homo oeconomicus, il triste esemplare che abita la terra in quest’ultima fase discendente del presente ciclo, è fuori dal ritmo della vita, è senza cuore e pertanto è cieco. È l’uomo che tutto mercanteggia, soppesa con oculata diffidenza. Anche le questioni che dovrebbero invece sollevarsi su di piano di chiara idealità, che attendono alla dimensione intellettuale, o all’agire per un Bene più grande. Il compromesso è la norma che modera ogni “transazione”: i rischi devono essere sempre superati dai benefici, o perlomeno stabilizzarsi in pari. La Prudenza è certo sinonimo di lungimiranza, ma qui vediamo solamente viltà “ben istruita” che si compiace di tenere una posizione mediana per timore di finire “dalla parte della Verità”. La sapienza umana, insuperbita dalle conquiste della tecnica, è infatti stoltezza agli occhi di Dio: è questo, in verità, il peccato originale, il confinamento egoico opposto all’apertura alla dimensione comunitaria ed animica. L’homo oeconomicus è l’uomo della Quantità, che a sproposito cerca di coniugare con essa la Qualità di cui però non sa nulla. Questa è infatti oltre il misurabile, è l’infinitamente piccolo, come il chicco di grano che caduto in terra deve morire; è l’infinitamente grande che ci sovrasta nell’abbraccio dei mondi. La Qualità sovverte tutti i canoni di giudizio a cui siamo stati mal-educati, perché essa specifica l’essenza delle cose e delle persone, che agli occhi dei non-ancora-risvegliati resta celata. Chi dunque può perseguirla e mostrarla?
Giuseppe Palomba, economista e studioso di Tradizione, indicava già nella seconda metà del secolo scorso che il ciclo dell’homo oeconomicus volgeva lentamente al termine, e che si poteva intuire l’affacciarsi dell’homo oecumenicus che avrebbe riassunto in sé l’universalità terrestre e celeste. L’uomo dei tempi ultimi che attraverserà la devastazione verso la nuova rinascita è colui che sintetizza, in interiore homine, la triplice iniziazione sacerdotale, regale e artigiana. Egli, che ha purificato il cuore, ha così anche riaperto la vista. È capace di amore oblativo, di operosità disinteressata, perché ha lasciato dietro di sé i pesi della bilancia da mercanti. Supera la paura di tutte le piccole morti – umiliazioni, vendette, persecuzioni – perché è inserito nel dinamismo della Vita. Sa molto bene che bisogna dar via tutti i propri averi – convinzioni più care – per acquistare il terreno dove si trova un tesoro più grande. Non è importante ciò che si lascia, ma ciò che si conquista.
Saranno le scosse violente che le forze infernali stanno già da ora imprimendo al mondo a far sorgere questa figura d’uomo. Esse infatti sono terribili, ma inconsapevoli strumenti di redenzione. Solo dal dolore, dall’essere precipitati negli abissi del caos, ci si innalzerà con le vesti candide. E quest’uomo sarà un vero uomo di Speranza, che egli, sì, avrà saputo leggere fra le polveri dell’orrore. Il suo sguardo allinea il suo incedere alla Storia intesa come un Divenire, che avanza verso il suo compimento escatologico. Le tribù di Israele giungono da Davide e così gli si rivolgono: «Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele». Saul è sagoma dei re e potentati della terra, di tutte quelle forze politiche, economiche e culturali che in maniera più o meno manifesta sembrano governare e condurre l’umanità. Davide, che è alla corte di Saul, è sagoma del Cristo: Lui, sotterraneamente, è la vera guida della Storia.
Perciò l’uomo ultimo è colui che proprio nelle violente crisi, nelle repressioni e mutamenti che modellano nuove forme di dittatura, come quelli che ci stanno travolgendo, tiene lo sguardo fisso sul Cristo che come una corrente carsica continuamente modifica e crea Vita, e trascina la Storia e il Cosmo intero verso la pienezza finale. L’uomo ultimo è quindi l’Uomo integrale che destandosi dal sonno, ha aperto l’occhio interiore e grazie ad esso vede la Realtà e la Storia in trasparenza. Egli sopravanza in un sol colpo chi si illude di contrastare le forze infere e di superficie con uno spirito “reazionario”, che in realtà è soltanto immobilismo, ma si muove con il Cristo-Vita nella sua corrente di vera trasformazione.
Da qui la Speranza e da essa il coraggio, di parole, ma ancor più azioni, che rompono gli ottusi recinti di un mondo che provvidenzialmente è andato in frantumi e che non dobbiamo punto rimpiangere. La Vita è trasformazione; a volte essa opera silenziosa, altre volte, forse proprio per scuoterci dalla nostra inerzia, irrompe come un tuono che sconvolge le acque. Forse l’homo oecumenicus sta già sorgendo, ma l’uomo vecchio, il mediocre che con la sua sapienza e tecnica tutta umana si è allontanato dalla traiettoria della Vita, saprà sostare davanti ad una grande anima, o tenterà di ucciderla per far salva la sua piccolezza?