La settimana scorsa, dando dell’imbecille al libro e al suo autore – rapporto causa ed effetto -, inerente le operazioni oltre le linee di informazione e sabotaggio durante la campagna d’Italia 1943-’45 ad opera dei tedeschi e dei combattenti RSI, ricordavo Franco Aschieri e i giovani fucilati a Sant’Angelo in Formis, nei pressi di Capua. Dagli archivi degli alleati furono tratte, con titolo Combat film, sequenze dell’esecuzione e delegata a plotoni composti da badogliani. Catturati e processati andarono fieri alla morte chiedendo di non essere bendati, come riferirono testimoni, per poter vedere il cielo azzurro della Patria per cui avevano scelto di sacrificarsi. Ecco perché il mio giudizio sul libro non poteva esaurirsi ad una critica soltanto sulla ricostruzione dei dati storici o su una ragioneria di sigle e nomi noiosa e inconcludente. Il mio maestro ed amico Friedrich Nietzsche ci invitava ad avere nemici da stimare.
Anni dopo, rovistando fra carte e fotografie ammucchiate sul pavimento e destinate ai cassonetti dell’immondizia nella sede dell’UNCRSI in fase di trasloco, ho trovato un cartoncino protetto malamente da del cellophane e con incollati dei frammenti di camicia nera presi ‘al momento dell’esumazione… il 20 aprile 1953’ a firma di Maria Monticelli (credo fosse una ausiliaria di origine napoletana). Suo impegno e merito di restituire alle famiglie e dare rispettosa sepoltura a quei giovani immolati in nome dell’Idea (Franco Aschieri ed altri tre sono sepolti nel cimitero di Santa Maria Capua Vetere). Alcuni di quei giovani portavano arrotolata sotto gli abiti da civili la camicia nera proprio in previsione d’essere catturati e poter quindi morire ‘da fascisti’. Un cartoncino, reliquia commovente, in mio possesso.
Nel corridoio, in una bella cornice, la fotografia del luogo e della stele in pietra con i nomi dei fucilati e la loro età con i versi di Robert Brasillach ‘Amore e coraggio – non sono soggetti a processo’. Da un pennone sventola il tricolore con l’aquila e il fascio repubblicano fra i rostri. Fu l’Ass. dei volontari e reduci della Decima MAS-RSI, il cui presidente era il comandante Mario Sannucci, già btg. Lupo, ad acquistare il pezzo di terra circostante e renderlo atto alla rispettosa memoria e alle ricorrenti cerimonie, fra cui quella dell’inaugurazione di cui, in una scatola, conservo alcune fotografie. Fu un privilegio, dunque, aver potuto contribuire alla realizzazione de ‘l’Armata silente’, come vollero chiamare il luogo traendone il nome da pochi versi scritti di getto da Franco Grazioli, anch’egli reduce del btg. Lupo.
Potrei aggiungere, in una sorta di risposta al libro di Gurrey (l’imbecille, ma forse io lo sono, avendomi lasciato intrigare dal titolo), delle giovani donne che, sotto la denominazione di ‘volpi argentate’, attraversarono le linee e si mostrarono sovente più abili e coraggiose di tanti uomini. Ne ho conosciute due: Fernanda Chechi e Carla Costa, credo entrambe, nel salotto animato da Walter, mi sembra il primo martedì d’ogni mese. Della prima ne scrive Ulderico Munzi in Donne di Salò ricordando come fosse stata condannata a morte e della seconda, all’epoca aveva diciassette anni, ne fa cenno lo stesso Gurrey ed è l’unico passaggio ove, due righe s’intende, mostra un certo rispetto.