Contro lo Stato Costituzionale “Cooperativo”
I fenomeni di migrazione e di comunicazione tra culture differenti, il bilanciamento continuo di diritti attraverso il «dialogo tra Corti», la prevalenza delle ragioni dell’economico sul politico con trasformazione dello Stato da entità esogena a soggetto pienamente inserito negli scambi, la fuoriuscita dagli ordinamenti giuridici statali di plessi importanti e rilevanti di regolazione, la ricerca di una risposta unitaria alla «pandemia» da Sars-Cov2 hanno posto le premesse per l’affermarsi di quello Stato costituzione «cooperativo», ove l’elemento della c.d. plenitudo potestatis non riveste più i connotati di una assoluta supremazia, ma si misura con gli spazi di frammenti di sovranità, peraltro sempre più consistenti, di altre istituzioni (si pensi all’Unione Europea). In questo modo, viene messa in crisi la corrispondenza fra la comunità politica e le compatte fisionomie identitarie dello Stato-Nazione.
Ne esce, dunque, un quadro di incroci reciproci di poteri autonomi che segnano la transizione all’era della «post-sovranità» in cui all’imputazione di poteri sovrani ad un «demos» si sostituisce la distribuzione delle competenze tra Stati e ordinamenti sovranazionali. Il diritto diventa in questo modo «esperienza vivente», o meglio il risultato di interferenze e migrazioni tra ordinamenti (Paolo Ridola). Questa prospettiva «cosmopolita» presuppone l’eliminazione del valore e il rifiuto di ogni legame sociale e immette nell’umano un quid di «post-umano», arrivando a disinnescarne le potenzialità e le differenti specificità. Il cosmopolitismo, rectius il globalismo, insinua il dubbio della legittimità della sovranitá nazionale, della cittadinanza, della identità e dei confini, ma per farlo ha bisogno di democrazie «porose», «permeabili» e «tecnocratiche». Il che implica una perdita di fiducia nella ragione umana e nella capacità di guidare le azioni degli uomini.
Davvero, allora, la «luciferina» ideologia globalista costituisce una forza oggettiva impermeabile alla volontà? Dobbiamo concludere che il male, quale l’uniformazione di questo mondo con la sua privazione delle distinzioni spaziali per mezzo del potere talassocratico che non conosce confini ma solo «fasce di sicurezza», è il destino ineluttabile che ci attende? Non è giunto, forse, il momento di azionare, contro la Weltanschaung globale ed il suo «profeta» (il diritto), quel controlimite potente, ma da tempo «anestetizzato», consistente nella riappropriazione decisa della sovranità popolare da intendersi non in senso giacobino-illuministico, bensì quale azione funzionale all’esercizio di un potere ordinatore della Costituzione naturale nella quale trova la sua fonte di legittimazione? Solo così sarà possibile il recupero della sovranità quale elemento per sostenere la difesa e la rinascita dal basso dei corpi intermedi, vera ricchezza della società europea (e italiana in particolare) la quale ha permesso la ricostruzione di un tessuto sociale e connettivo dei popoli più volte uscito devastato dai drammatici avvenimenti della storia contemporanea. Solo così sarà possibile frenare la «cosificazione dell’uomo».