Pasqua: nascere come Anima

 

Pasqua: nascere come Anima

Un’altra Pasqua viene mortificata, dileggiata, dalla viltà, ma soprattutto dall’ignoranza umana. Ai mari ingrossati di retorica che già hanno accompagnato la Quaresima e tristemente sommergeranno la Domenica di Resurrezione, proviamo qui ad opporre un umile ruscello, che però speriamo disseti e rinfreschi le menti troppo a lungo provate. La Storia ci parla di continuo e così anche la Liturgia, perciò vanno colti e meditati proprio quegli spunti che indirizzano i nostri passi sul sentiero da percorrere nei giorni immediatamente a venire. Non sono i verbi all’infinito che spingono l’uomo a comprendere se stesso e la propria vita, ma quelli rivolti in seconda persona, al tempo presente.

Il materialismo che ha edificato la nostra società non risparmia nemmeno l’interpretazione delle Scritture. La lettura spirituale e simbolica è ridicolizzata e dai più perfino dimenticata. Eppure le sfide dell’oggi chiedono a gran voce che essa sia riscoperta. Chi vede oltre la lettera sa riconoscere l’anima che muove il mondo e ad essa si conforma. Nella Messa in Coena Domini si legge di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Il catino in cui versa l’acqua è la Scrittura, ancora intrappolata nella lettera. Ma nel Grande Grido del Cristo crocifisso Dio torna a dialogare con l’uomo, come con Adamo: l’opacità del testo della Rivelazione si è dissolta.

La Pasqua è associata troppo alla morte e ad un’idea di resurrezione inquinata da scadente teologia e vuoto sentimentalismo. In verità la Pasqua e il Natale vivono di costanti rimandi e di significati anche rovesciati: il Natale come morte e la Pasqua come nascita. Luca scrive di un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Le bende sono quelle che avvolgono i morti e Gesù infatti deve andare incontro alla morte per divenire il pane che dà vita: Betlem significa tra l’altro “casa del pane”. Il significato teologico nascosto nel racconto di Luca è Gesù che si fa Eucarestia. E poi i Magi che vanno a cercare il Re dei Giudei, appellativo che verrà apposto sulla croce. E ancora la stella/Anima del Cristo che prima appare – simboleggiando la vita pubblica di Gesù -, poi scompare a Gerusalemme – segno della sua morte per opera degli eletti – e infine riappare come quelle luci del sabato che nel racconto della crocifissione iniziano a brillare dopo il vespro, indicando così l’inizio del Giorno del Signore.

Il termine resurrezione, poi, nasconde un inganno linguistico: allude al ri-tornare alla posizione eretta di chi è caduto. I Vangeli però attestano come Gesù abbia invece assunto una dimensione completamente nuova: egli è nato come Anima. Ecco quindi che la gioia pasquale è tale perché ci immette nella traiettoria della nostra trasformazione. Questo punto è della massima importanza se guardiamo ad esempio a coloro che ora cercano di opporsi al furto di tutte le libertà e della stessa dignità umana, ingenuamente rivendicando il ritorno alla “vecchia normalità”.

Vi sono inoltre due momenti essenziali. Il primo riguarda Gesù che non viene banalmente crocifisso, ma viene elevato, o ancora meglio viene spinto alla perfezione. Il patibulum, che simboleggia tutta la nostra umanità, viene innalzato sino alla sommità del palo conficcato nel terreno, a formare una grande T, il Tau appunto della perfezione. Qui Gesù compie il suo “risveglio” e apre la porta che ci immette nel Giardino delle anime (si legga così la sua risposta al “buon ladrone”). È l’atto di redenzione dell’intero creato e che fa di tutti coloro che risveglieranno la loro anima dei co-redentori. «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo» (Gv 3,14) e il serpente – ricorda la Genesi – è il più intelligente, il più mentale fra tutti gli animali della terra. Rappresenta pertanto le facoltà intellettuali dell’uomo che, se lasciate a strisciare fra le polveri dell’incompiuto, delle forze psichiche – quelle per chiarirci che costituiscono la struttura della presente società – generano morte e orrori. Se invece il serpente/Cristo viene sollevato in alto, ecco che guarisce gli odi, i veleni del mondo. E così dobbiamo fare noi, dobbiamo elevare il nostro intelletto dalle aridità della terra per guardare tutte le cose umane dall’alto, e dall’alto comprenderle e infine guarirle.

Il secondo momento è quello del sepolcro, che non è vuoto, ma al contrario “colmo di Eucarestia”; è il passaggio “dall’anima alla santità”. Gesù è ora stabilito in mezzo a noi come perfezione e si offre nelle forme del pane e del vino. Entrando nel sepolcro possiamo finalmente contemplarlo faccia a faccia: è la divinizzazione, attestata dai santi. Il Verbo qui si umilia ancora, si fa addirittura silenzio, perché siano i commensali umani a parlare attraverso le opere, così come «i Magi aprirono i loro tesori ed offrirono oro incenso e mirra». Ecco che quindi il cerchio del Natale e della Pasqua completa il suo giro.

Dobbiamo imparare – e oggi è più che mai un imperativo – a “nascere come anima” per ammirare quelle prime luci del sabato che scalzano le tenebre. La Pasqua è segno di trasformazione, perché la croce è segno di vittoria sulla nostra individualità materiale. Segno di uno sguardo che si eleva e poi amorevolmente ridiscende tra i fratelli per incendiarli col fuoco delle buone opere.

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