Liberalismo 2.0

 

Liberalismo 2.0

Il prof. Aleksandr Dugin ci ha fatto l’onore di inviare a Il Pensiero Forte uno scritto che interpreta filosoficamente la fase di transizione dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0 alla luce, ovviamente, della sua Quarta Teoria Politica. Su questo scritto, che riteniamo comunque di grande importanza, invitiamo ad un aperto ed ampio dibattito di cui daremo conto sui prossimi numeri de Il Pensiero Forte.

Grazie Prof. Dugin

Adriano Tilgher

La nuova virata del liberalismo

Nel momento storico presente, possiamo chiaramente distinguere un fenomeno molto importante: una nuova virata dell’ideologia liberale. Come tutte le altre ideologie politiche, il liberalismo è in costante cambiamento, ma in certi momenti possiamo coglierne variazioni paradigmatiche che ci danno il diritto di affermare: qui qualcosa sta finendo e qualcos’altro sta cominciando. Questo è il prossimo-momento, il momento successivo. È spesso accompagnato dalla caduta di un determinato regime politico o di un equilibrio di potere dopo una grave guerra – ad esempio una guerra mondiale – e così via, ma a volte passa inosservato a livello subliminale latente. Sicuramente, si possono sempre distinguere alcuni sintomi dei cambiamenti prodotti, ma la loro profondità e il fatto di aver raggiunto il punto di non ritorno restano per il momento oggetto di discussione.

Io sostengo che in questo momento stiamo assistendo ad un cambiamento propriamente drammatico dell’ideologia politica liberale. Chiamiamolo il passaggio dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0. Come per ogni serio passaggio, anch’esso richiede un certo “rito di passaggio”. Interpreto questo rito come la situazione in cui la presidenza di Donald Trump è culminata col suo rovesciamento da parte dell’élite globalista incarnata da Joe Biden e la sua– ancora una volta! – amministrazione Neocon; ma questo non è altro che un rito di passaggio, dicevo, che si manifesta nelle parate del gay pride, nelle rivolte dei Black Lives Matter, negli attacchi dell’impero LGBT+, nelle rivolte globali del femminismo selvaggio e nello spettacolo dell’avvento del post-umanesimo e della tecnocrazia estrema. Dietro tutto questo ci sono processi più profondi – puramente filosofici – che mi propongo di esaminare.

 

La solitudine liberale

Premetto che farò questo esame impiegando il mio approccio strutturale, basato sulla Quarta Teoria Politica. Ciò significa che considero l’ideologia liberale (o la Prima Teoria Politica) come la somma dispensazione storica del paradigma stesso della modernità occidentale, che nel corso del XX secolo ha vinto la sua epica battaglia contro i suoi principali rivali, ovvero i comunisti (Seconda Teoria Politica) e i fascisti (Terza Teoria Politica), che in quel momento sfidarono la pretesa liberale di essere i più moderni e si dichiararono più moderni dei liberali. Questo venne esplicitamente formulato dal futurismo marxista, così come dal pensiero fascista.

Quindi, secondo questa visione, il liberalismo come ideologia – politica, economica, culturale, sociale e così via – ha vinto nel XX secolo non solo tatticamente, ma strategicamente, diventando in qualche modo l’ideologia politica unica in maniera irreversibile dopo gli anni “90. Questo è ciò che comunemente è chiamato “momento multipolare” (Charlers Krauthammer) e fu – prematuramente come sembra ora – battezzato come “la fine della Storia” da Francis Fukuyama. Al di là di tutti i dettagli e gli interrogativi di una corretta misurazione dei tempi, la vittoria ideologica del liberalismo proprio in questo periodo è inconfutabile. Il comunismo cinese non è una vera alternativa al capitalismo liberale, perché dopo il governo di Deng Ziaoping la Cina si è in parte incorporata nell’economia politica globale nel tentativo di sfruttarla a vantaggio della forza del Paese, pur accettando le principali regole liberali e i principi del libero mercato.

È stato questo il punto di svolta che ha separato simbolicamente il vecchio liberalismo dal nuovo liberalismo, dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0. Poi, negli anni “90, abbiamo potuto registrare la gestazione di una profonda mutazione semantica della Prima Teoria Politica. L’epica vittoria del liberalismo nel XX secolo creò due importanti cambiamenti ideologici:

  • L’avvento delle alleanze rossobrune o nazional-bolsceviche, basate su una profonda comprensione dell’irrimediabile perdita del comunismo storico e del fascismo a favore del liberalismo e sulla volontà di creare un fronte comune anti-liberale di destra-sinistra (ma questa è rimasta politicamente marginale, incomparabilmente piccola rispetto alla gravità del pericolo per la posizione di dominio liberale di un tale progetto ideologico);
  • La solitudine del liberalismo, che perse entrambi i suoi principali nemici ideologici, che costituiva (come insegna Carl Schmitt sottolineando l’importanza della distinzione amico/nemico per la definizione stessa dell’identità politica ed ideologica) un elemento importante dell’autoaffermazione del liberalismo.

Nella misura in cui il nazional-bolscevismo illiberale non costituiva una vera minaccia politica, il problema della solitudine rimase essenziale.

 

Il nazional-bolscevismo come concetto ispirato dalla vittoria del liberalismo

Filosoficamente, il nazional-bolscevismo coincise con lo spostamento parallelo di paradigma che arrivò con la postmodernità. Gli autori postmoderni, provenienti soprattutto dall’estrema sinistra, divennero molto critici nei confronti del comunismo di stile sovietico e in parte cinese, e adottarono così la strategia di un’alleanza ideologica – sempre più “antifascista” e anche anti-NB – con i liberali di sinistra. Così il postmodernismo si è stabilito come una sorta di terreno comune per gli ex comunisti che diventavano sempre più liberali (individualisti, edonisti, ecc.) e per i liberali di sinistra che adottavano l’epistemologia d’avanguardia dei pensatori radicali che promuovevano teorie e pratiche estreme di liberazione – da regole, norme, identità stabili, gerarchie, confini e così via.

È qui che il liberalismo 2.0 affonda le sue radici. Ma per diventare esplicito nella nuova versione dell’ideologia politica liberale, ci vollero altri 30 anni di drammatica vita politica. Il fenomeno Trump è stato l’ultimo e più decisivo periodo che ha spinto l’intera struttura del liberalismo 2.0 a presentarsi così com’è.

La caratteristica principale del liberalismo 2.0 è il suo nemico interiore, una quinta colonna all’interno del liberalismo in quanto tale. In assenza di nemici ideologici ben presentati – comunisti e fascisti – i liberali solitari sono stati costretti a riconsiderare la mappatura stessa del loro dominio che era diventato mondiale. Ideologicamente, la debole tendenza rossobruna appariva più importante di quanto si potesse giudicare dalla sua apparenza come un movimento dall’impatto insignificante.

Se però consideriamo questo nazional-bolscevismo in termini più ampi, il quadro generale cambia drasticamente. La rinascita della Russia di Putin può essere valutata come una nuova miscela della strategia di stile sovietico della politica anti-occidentale e del nazionalismo russo tradizionale. Altrimenti, il fenomeno Putin rimane enigmatico. Fu approssimativamente equiparato al nazional-bolscevismo, cosa che ha confermato la struttura ideologica principale dell’era unipolare-liberale. La stessa approssimazione potrebbe essere impiegata per interpretare il fenomeno cinese. Diversamente sarebbe difficile o semplicemente impossibile spiegare la politica della Cina e soprattutto la linea di Xi Jinping. Qui, ancora una volta, vediamo uno speciale comunismo cinese mescolato da un nazionalismo anch’esso di stampo cinese, sempre più osservabile. Lo stesso si può dire della crescita del populismo europeo, dove la distanza tra destra e sinistra si stava drasticamente riducendo fino al punto di creare simbolicamente l’alleanza giallo-verde nel governo italiano, basata sull’accordo tra Lega Nord (populismo di destra) e 5 Stelle (populismo di sinistra). Una convergenza analoga è stata preconfigurata nella rivolta populista contro Macron in Francia, in cui i seguaci di Marine Le Pen stavano combattendo il centro liberale accanto ai seguaci di Jean-Luc Mélenchon.

Così, nell’ordine mondiale unipolare, i liberali erano costretti ad accettare la minaccia del nazional-bolscevismo – nel senso più ampio del termine – come qualcosa di grave; hanno allora cominciato a combattere contro tale convergenza minandone le strutture e gli indici ovunque essi apparissero.

Ma per non contribuire alla promozione di un’alternativa efficace che si è autoimposta al dominio globalista liberale, le élite globali hanno svilito l’importanza di questo fenomeno all’apparenza mentre, in realtà, lo hanno combattuto con tutti i mezzi. Se Putin, Xi Jinping, i populisti europei e i movimenti islamici anti-occidentali (analogamente né troppo comunisti né nazionalisti), così come le correnti anticapitaliste in America Latina e in Africa, fossero consapevoli di opporsi al liberalismo da una posizione ideologica un po’ unita, accettando il populismo di destra/sinistra o integrale come loro terreno esplicito, avrebbero rafforzato la loro resistenza moltiplicando notevolmente il loro potenziale. Per evitare che ciò accadesse, i liberali hanno fatto ricorso a tutti i mezzi, soprattutto alla quinta e alla sesta colonna (liberali ben radicati nelle strutture governative e formalmente fedeli ai leader sovrani nei rispettivi regimi) che hanno cercato di sopprimere ogni mossa ideologica in questa direzione.

 

Il nemico interno

Furono proprio i loro successi nel contenimento della potenziale emersione di un’ideologia nazional-bolscevica – illiberale – nello status di nemico formale a rendere i liberali sempre più soli. Non osarono lasciare che il nemico formale apparisse, ma il prezzo fu la gestazione di un nemico interiore. Questo è il punto cruciale nella nascita del liberalismo 2. 0.

L’ideologia politica non può esistere quando la coppia nemico/amico viene cancellata: perde la sua identità e non può continuare ad essere efficace, perché non avere un nemico vuol dire un suicidio ideologico. Di conseguenza, un nemico esterno poco chiaro e indefinito non bastava a giustificare il liberalismo. Con tutta la demonizzazione della Russia di Putin e di Xi Jinping in Cina, i liberali non potevano essere del tutto convincenti, ed inoltre accettare l’esistenza di un nemico ideologico formale e strutturato al di fuori della zona di influenza liberale (democrazia, economia di mercato, diritti dell’uomo, tecnologia universale, networking totale, ecc.) dopo l’inizio del momento unipolare presumibilmente globale sarebbe equivalso a riconoscere un grave fallimento. Doveva logicamente apparire un nemico interiore, teoricamente necessario nello sviluppo dei processi ideologici dopo gli anni ’90.  E il nemico interiore arrivò giusto in tempo, proprio quando era più necessario. Aveva un nome: Donald Trump.

Essendo etichettato fin dal momento della sua apparizione alle elezioni americane del 2016, Donald Trump ha iniziato a giocare un ruolo estremamente importante: quello del nemico, stabilendo la linea di confine tra liberalismo 1.0 e liberalismo 2.0. Divenne, per così dire, l’ostetrica del liberalismo 2.0, aiutandolo finalmente a nascere. Inizialmente, c’era la debole idea di cercare di collegare Trump a Putin il rossobruno, cosa che ha causato danni reali alla presidenza di Trump, ma, ideologicamente, è stata un’accusa incoerente, non solo per l’assenza di relazioni reali tra Trump e Putin e per il puro opportunismo ideologico di Trump, ma anche perché Putin stesso, che sembrava un nazional-bolscevico che si opponeva consapevolmente al liberalismo globale, è in realtà molto più pragmatico realista, come Trump, è un populista degli ascolti, e sempre come Trump è più di un opportunista senza alcun interesse per l’ideologia.

Anche lo scenario alternativo di presentare Trump come fascista era ridicolo, appellativo abusato dai suoi rivali politici, che ha causato problemi a Trump sebbene fosse un’accusa del tutto incoerente.  Né lo stesso Trump né alcuno dei suoi collaboratori erano fascisti o rappresentanti di qualsiasi tendenza di estrema destra, rimasti per molto tempo totalmente emarginati nella società americana ed esistenti solo come una sorta di frangia libertaria della cultura kitsch.

Quindi, per trattare con Trump a livello ideologico (e non solo nella propaganda, dove tutti i metodi sono accettati se funzionano) i liberali sono stati costretti a definire la sua posizione in modo diverso.  Qui ci avviciniamo al punto più importante del nostro studio. Trump era ed è un rappresentante del liberalismo 1.0. Si scoprì che era proprio questo il nemico principale – e questa volta veramente interno – del nuovo liberalismo. Se mettiamo da parte tutti i regimi stranieri che si oppongono all’ideologia liberale nella loro pratica politica, perché non pongono alcun problema serio, ma sono invece ostacoli casuali e non articolati sulla strada verso l’inevitabile trionfo del progresso liberale, rimane solo un vero nemico del liberalismo: il liberalismo stesso.  Per andare avanti, il liberalismo ha dovuto fare una purga interiore.

Appare qui una spaccatura interna, chiaramente visibile e definita.  Il nuovo liberalismo, fondato sulla convergenza continua con il post-modernismo di sinistra, ha cessato di riconoscersi nel vecchio liberalismo.  E proprio questo vecchio liberalismo è stato identificato nella figura simbolica di Donald Trump, venendo giudicato come l’Altro. Ciò spiega l’accanimento ideologico della campagna di Biden – “ritorno alla normalità”, “ricostruire meglio” e così via.  La “normalità” in questione è una nuova normalità – la normalità del liberalismo 2.0. Il liberalismo 1.0 – nazionale, chiaramente capitalista, pragmatico, individualista, e per certi versi libertario – è stato giudicato ormai come anomalia. Democrazia come regola della maggioranza, piena libertà di parola e di pensiero, aperta possibilità di esprimere qualsiasi posizione, qualsiasi scelta religiosa, il diritto di avere una famiglia e di organizzare le relazioni tra i sessi su qualsiasi terreno, religioso o laico – tutto ciò, pienamente riconosciuto dal liberalismo 1.0, è divenuto inaccettabile. D’ora in poi vi saranno solo: il politicamente corretto, l’annullamento della cultura, la pratica di svergognare tutti coloro che non accettano questo liberalismo di sinistra come qualcosa di necessario, giustificato e normale.

Ecco che il liberalismo 2.0 si è evoluto poco a poco in qualcosa di totalitario. Non era così – almeno esplicitamente – quando si combatteva contro ideologie molto più esplicitamente totalitarie – il comunismo e il fascismo; ma dopo essere stato lasciato solo, il liberalismo è venuto a manifestare il suo carattere inatteso.  Se il liberalismo 1.0 non era totalitario, allora il liberalismo 2.0 è totalitario.  D’ora in poi, nessuno ha il diritto di non essere liberale. Il vecchio liberalismo rifiuterebbe subito una tale tesi, perché essa è in contraddizione chiara e diretta con i fondamenti stessi dell’ideologia liberale basata sulla libera scelta. Il diritto di essere illiberale era stato rispettato così come il diritto di essere liberale. Ma non ora. No, non più. Così, un liberalismo è finito – precisamente nel momento in cui Trump ha lasciato la Casa Bianca. L’altro liberalismo adesso regna. Qui la libertà non è più libera.  È un dovere. E il significato di libertà non è arbitrario, ma è chiaramente definito dalle nuove élite liberali al potere (2.0). Chi non è d’accordo è condannato ad essere cancellato.

 

Friedrich von Hayek: l’inizio

Possiamo tracciare l’evoluzione ideologica del liberalismo 2.0 seguendo l’evoluzione, a volte non troppo articolata, delle idee degli stessi principali ideologi del liberalismo del XX secolo. Qui abbiamo tre stazioni principali: Friedrich von Hayek, Karl Popper e George Soros. Appartengono alla stessa tradizione – il primo era l’insegnante diretto del secondo e il secondo del terzo.  Sembra quindi che dovrebbero avere più o meno le stesse opinioni, e ciò è in parte vero, ma in parte no.

Friedrich von Hayek era chiaramente un liberale puro. Nelle sue opere critica sia il comunismo che il fascismo, sottolineando il loro impegno per “il progetto”.  In nome del giusto, i regimi comunisti e fascisti hanno imposto alle società le loro pratiche politiche ed economiche violente, pervertendo la logica naturale della vita sociale e politica; entrambi hanno abusato dell’avvenire e del progresso come argomenti decisivi per il diritto di governare e dominare come struttura politica dotata della missione di far sì che tale avvenire avvenga ad ogni costo. Così, comunisti e fascisti hanno violato la realtà sottoponendola alle autoproclamate “leggi del progresso”.

Di contro, Friedrich von Hayek affermava lo status quo come punto di partenza. Teoricamente incapace di calcolare correttamente il futuro (poiché ci sono troppi fattori rilevanti – sempre più di quanto la mente umana possa prendere in considerazione), dobbiamo cercare di procedere con cautela, con moderazione, senza distruggere le strutture sociali, politiche ed economiche esistenti, ma a volte tentare semplicemente di svilupparle o migliorarle. Von Hayek contrapponeva “il progetto” al concetto di Tradizione, che per lui era l’unica base dello sviluppo organico, in quanto individuava in essa la somma delle scelte razionali di molte generazioni precedenti, una struttura enorme di errori e correzioni che nessun progetto poteva eguagliare.

Bisognava essere totalmente contrari al comunismo e al fascismo (e, logicamente, a qualsiasi loro miscuglio). In questo senso Friedrich von Hayek era molto più vicino a Edmund Burke e al conservatorismo inglese: non è quindi insolito che le sue idee siano state accettate da parte della Nouvelle Droite francese (Henry de Lesquen, Yvan Blot, ecc.) in combinazione con il nazionalismo moderato francese.

Friedrich von Hayek può essere considerato l’esempio ideale del liberalismo 1.0.

 

Karl Popper: il punto di mezzo

Il discepolo di Friedrich von Hayek, Karl Popper – autore della teoria della società aperta e mentore diretto di George Soros – rimase fedele alle idee di Hayek sulla superficie. Accettò il libero sviluppo della società, criticò severamente “il progetto” in quanto tale e formulò generalizzazioni del terreno comune della Seconda e della Terza Teoria Politica, contribuendo così involontariamente alla formulazione dei principi nazional-bolscevichi. Popper individuò nell’errore principale della tradizione politica l’accettazione dell’esistenza dello Stato ideale che come fonte di norme, e nella teoria aristotelica del telos, causa finalis – il fine come ragione principale che giustifica i mezzi per raggiungerlo.

Seguendo formalmente l’approccio di Hayek, Popper sposta considerevolmente alcune importanti enfasi: al titolo della sua opera principale, The Open Society, aggiunse “e i suoi nemici”, sottolineando così il dualismo della sua posizione. Temendo qualsiasi tipo di “progetto liberale”, Hayek era stato molto attento a formulare qualsiasi tipo di approccio dualistico alla politica e all’ideologia.  Secondo lui, liberale o “progetto”, il liberalismo è organicamente aperto a tutto ciò che esiste, è una specie di etica stoica.

Con Popper, invece, cambiamo completamente il registro.  La “società aperta” è un progetto liberale inequivocabile. Divide tutti in due campi:

  • la società aperta e
  • i nemici della Società Aperta.

E c’è una guerra tra di loro. Non solo il tono della critica di Popper a Platone o Aristotele, Hegel o Schelling è totalmente intollerante e isterico, ma contrasta nettamente con l’approccio calmo di Hayek, anche nei confronti dei suoi avversari.

Popper sostenne la distruzione radicale dei nemici della Società Aperta, affermando che altrimenti, privi di qualsiasi limite interiore, essi stessi avrebbero distrutto la Società Aperta. Quindi la logica di Popper era: uccidiamoli prima che loro uccidano noi.

Questo suona già completamente diverso.  Ecco lo spostamento verso il liberalismo 2.0.  Popper odia tutto ciò che può essere giudicato simile al nazionalismo o al socialismo, non solo respinge la Seconda e la Terza Teoria Politica, ma le criminalizza e ne chiede l’annientamento totale.

Ai suoi occhi, non c’è la scelta di essere illiberale. Qualsiasi nemico della società aperta è per definizione un criminale ideologico – non importa se si trova a destra o a sinistra dello spettro politico.

Ma Karl Popper era ancora chiaramente capitalista ed economicamente di destra. Diversamente da qualsiasi tipo di elemento comunista/socialista nell’arte, nella società, ecc., era anche culturalmente di destra, non era ancora un liberale 2.0, ma molto vicino.

 

George Soros: la destinazione

Poi è venuto l’ultimo elemento della transizione dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0.  Benvenuti nell’universo di George Soros.  Ironicamente, il nome «soros» in ungherese significa “prossimo”.  Che scelta giusta essere la figura simbolica del liberalismo 2.0.

Soros è allievo di Karl Popper che, come Soros stesso riconosce, ha avuto un impatto decisivo sulla sua ideologia.  Soros divenne un devoto di Popper e si impegnò a promuovere la Società Aperta in tutto il mondo. Qui abbiamo a che fare con un progetto liberale (una contraddizione agli occhi di Hayek) ancora più aggressivo, radicale e bellicoso di Popper. Questi ha limitato il suo attivismo ad esprimere le sue opinioni. Soros, diventando uno degli uomini più ricchi del mondo attraverso la speculazione finanziaria, ha applicato i principi della Open Society alla politica globale. Soros ha scelto il nome di Open Society per la sua fondazione, che è un ombrello per una rete globale di liberalismo aggressivo che cerca di influenzare, controllare, guidare e sovvertire la politica su scala mondiale. Con Soros, il liberalismo diventa veramente estremista. Non esita a sponsorizzare rivoluzioni colorate, rivolte, colpi di stato, e così via ogni volta che ritiene che siano diretti contro qualche nemico della Open Society. Quali sono i criteri per tale scelta? Chi è il giudice? I criteri sono espressi nella Bibbia di Soros – Popper’s libro, The Open Society and its Nemies. Il giudice è Soros stesso, il principale arbitro del progetto liberale e della sua attuazione pratica.

Allo stesso tempo, possiamo prendere atto di alcuni cambiamenti nella posizione ideologica di Soros e del suo impero globale.  Questi ha iniziato ad avvicinarsi sempre più ai liberali dell’estrema sinistra, ai post-modernisti e agli attivisti di estrema sinistra, forse perché li considera più impegnati nell’attivismo politico – necessario per raggiungere l’obiettivo globale del progetto liberale.; anche le sue opinioni sul sistema capitalista in generale sono cambiate, ma i suoi ultimi scritti e, a maggior ragione, le azioni politiche sue e delle organizzazioni da lui sostenute testimoniano una crescente tendenza verso la sinistra – compresa l’estrema sinistra apertamente critica nei confronti del capitalismo in quanto tale. Soros promuove attivamente il post-umanesimo, la politica di genere, la cancel culture, il femminismo e tutti i tipi di movimenti anti-religiosi, tutto ciò in nome del progresso.

Con Soros, quindi, siamo arrivati in qualche modo all’estremità opposta del liberalismo.  Se Popper era simile a Hayek e Soros era simile a Popper, allora Soros e Hayek appaiono come due estremi.  Uno (Hayek) è favorevole alla Tradizione, radicalmente contrario a qualsiasi tipo di progetto, e scettico sul progresso (poiché nessuno può sapere con certezza se qualcosa è progresso o no); l’altro, al contrario, è a favore del progresso e di un progetto liberale che si può chiamare liberalismo di estrema sinistra. Tutti e tre sono contrari alla Seconda e alla Terza Teoria Politica, ma sembra che dopo la vittoria su di loro, il serpente si sia voltato per mordersi la coda. Soros attacca quasi tutto ciò che era caro ed essenziale per Hayek.

Tutto questo si è fatto chiaro nel caso di Trump. Soros considera Trump il suo arcinemico, il che vuol dire che nessuno tranne Hayek lo è. Trump, dopo tutto, non è affatto illiberale. Non c’è nulla di nazional-bolscevico in lui e nella sua posizione, è un puro liberale – del tipo Hayek, non del tipo Soros.

Qui scorre lo spartiacque tra Hayek (liberalismo 1.0) e Soros (liberalismo 2.0).

 

Individuale e dividuale

Vorrei richiamare la vostra attenzione su un altro punto importante: il problema dell’individuo e come viene risolto in entrambe le ideologie, nel liberalismo 1.0 e nel liberalismo 2.0.

Il liberalismo classico pone l’individuo al centro della società. La figura dell’individuo nella fisica sociale del liberalismo svolge lo stesso ruolo dell’atomo nella scienza fisica: la società è costituita da atomi/individui che rappresentano l’unico fondamento reale ed empirico delle successive costruzioni sociali, politiche ed economiche; tutto può essere ridotto all’individuo.

Stando così le cose, è facile cogliere l’etica del liberalismo che sta alla base della sua comprensione delle norme e del progresso. Se l’individuo è il soggetto principale della teoria politica, deve essere liberato da ogni legame con le entità collettive che ne limitano la libertà e privato dei diritti naturali.  Storicamente, tutte le istituzioni e le regole possibili sono state create da individui (Thomas Hobbes), ma hanno acquisito un potere indebito su di loro, come lo Stato (il Leviatano). Tutte le strutture sociali – comunità, sette, chiese, stati, professioni, e negli ultimi tempi classe, nazionalità e sesso, hanno la stessa funzione – usurpano la libertà dell’individuo, imponendo i falsi miti di una certa “identità collettiva”. La lotta contro tutte le forme di identità collettiva è quindi un dovere morale dei liberali, e il progresso si misura dal successo o meno di questa lotta. 

Tale logica è la strada maestra del liberalismo. Alla fine del XX secolo, l’agenda principale della liberazione dell’individuo era stata realizzata. Il tradizionale ordine premoderno europeo fu sconfitto e completamente distrutto già all’inizio del XX secolo. La vittoria sul fascismo nel 1945 e sul comunismo nel 1991 ha segnato i due punti simbolici della liberazione dell’individuo dal nazionalismo e dalla classe, dall’identità statista (questa volta come identità artificiali inventate dalle ideologie illiberali moderniste). L’Unione europea è stata creata come monumento a questa storica vittoria; il liberalismo divenne la sua implicita, e talvolta esplicita, ideologia.

Qui la storia vittoriosa del liberalismo 1.0 si è fermata. L’individuo è liberato. La fine della Storia è vicina come mai prima. Non ci sono nemici formali al di fuori del liberalismo. L’ideologia dei diritti dell’uomo, che riconosce diritti quasi uguali per ogni essere umano al di fuori delle giurisdizioni nazionali (questo è il fondamento ideologico principale delle migrazioni di massa), è certificata.

A questo punto, i liberali si resero conto che, oltre a tutte le loro vittorie, c’era ancora qualcosa di collettivo, un’identità collettiva dimenticata che andava distrutta. Eccoci giungere alla politica di genere. Essere uomo e donna significa condividere una precisa identità collettiva che prescrive forti pratiche sociali e culturali. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova sfida per il liberalismo: l’individuo deve essere liberato dal sesso, poiché quest’ultimo è ancora considerato come qualcosa di oggettivo, il genere dovrebbe essere facoltativo e conseguenza di una scelta puramente individuale.

La politica di genere parte da qui e cambia sottilmente la natura stessa del concetto di individuo. I post-modernisti sono stati i primi a sottolineare che l’individuo liberale è una costruzione maschilista e razionalista. Per “umanizzarla” (qui siamo ancora nella zona dell’umano), le nuove pratiche emancipatorie non dovrebbero solo superare l’uguaglianza dei sessi, ma sostituire il buon vecchio individuo con una nuova, strana e perversa (come può sembrare), costruzione. La semplice equalizzazione delle possibilità e delle funzioni sociali tra uomini e donne, compreso il diritto di cambiare sesso liberamente e a proprio piacere, non risolve il problema. Ancora il patriarcato “tradizionale” prevarrà nella definizione della razionalità, delle norme, e così via.

Così, i post-modernisti – Deleuze, Guattari e così via – sono giunti alla conclusione che liberare l’individuo non basta: il passo successivo è quello di liberare l’essere umano, o meglio l’“entità vivente”, dall’individuo. Giunge il momento della sostituzione finale dell’individuo con l’entità rizomatica opzionale di genere, una sorta di rete-identità; l’ultimo passo sarà sostituire l’umanità con strani esseri post-umani – macchine, chimere, robot, intelligenza artificiale e altre specie di ingegneria genetica.

Negli anni Settanta e Ottanta, questa fu la ricerca d’avanguardia di stravaganti filosofi francesi. Negli anni “90 divenne una tendenza importante nell’ambito sociale e culturale dei paesi occidentali. Nella campagna di Biden, era già un’ideologia completamente formata sull’offensiva, che glorificava non più l’individuo (come nel liberalismo 1.0), ma la nuova entità post-umana in arrivo – il tecno-centrico, gender-optional, post-individuale di-individuale. Autori di sinistra come Antonio Negri e Michael Hardt (sponsorizzati e promossi dallo stesso George Soros) hanno preparato il terreno intellettuale per questi concetti, ora accettati dal Grande Capitale stesso, nonostante fossero stati originariamente diretti contro di esso.

La linea tra l’individuo e il dividuale, o tra l’ancora umano e già post-umano, è il problema principale del passaggio paradigmatico dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0.

Trump era un individualista umano che difendeva l’individualismo nel contesto umano ancora vecchio stile. Forse è stato l’ultimo. Biden è un sostenitore dell’arrivo della post-umanità e del dividualismo.

 

Il liberalismo 2.0 e la Quarta Teoria Politica

Dedico l’ultima delle mie osservazioni su questo argomento veramente importante della Quarta Teoria Politica e al suo sviluppo nel contesto ideologico attuale.  La Quarta Teoria Politica è orientata normativamente contro tutte le forme di Modernità, contro la Modernità in quanto tale. Tuttavia, tenendo conto della realtà della vittoria della Prima Teoria Politica sui suoi rivali, assicurandosi così lo status di unico erede dello spirito principale della Modernità (Aufklärung), la Quarta Teoria Politica è apertamente e radicalmente anti-liberale. Se possiamo considerare il nazional-bolscevismo come la prima tappa della riflessione ideologica politico-filosofica sul fatto della vittoria finale del liberalismo sul comunismo nel 1991 in tutta la sua profondità metafisica, allora la Quarta Teoria Politica è chiaramente la seconda tappa dello stesso vettore. La differenza principale sta nel rifiuto della Quarta Teoria Politica del bolscevismo, del nazionalismo, o di qualsiasi miscuglio dei due, come alternativa approssimativamente positiva al liberalismo vittorioso a livello globale. Questo è il risultato del terreno radicalmente antimoderno della Quarta Teoria Politica, che dovrebbe essere più che chiaro nella formulazione dei suoi principi fondamentali, anche nell’impegnarsi in compromessi diversi con le strutture politiche esistenti, siano esse di destra o di sinistra. Né il populismo illiberale di destra né quella di sinistra possono ottenere una vittoria sincera sul liberalismo di oggi. A tal fine, dovremmo integrare la sinistra illiberale e la destra illiberale; ma i liberali al potere sono molto vigili al riguardo, e cercano sempre di prevenire qualsiasi mossa del genere in anticipo. La miopia dei politici e dei gruppi di estrema sinistra e di estrema destra non fa altro che svolgere i compiti dei liberali.

Così, dopo 30 anni di lotte ideologiche, posso suggerire di risparmiare la fase nazional-bolscevica e passare direttamente alla Quarta Teoria Politica stessa, rifiutando ogni forma di socialismo e nazionalismo e affermando invece una visione chiaramente antimoderna dell’organizzazione politica. È così difficile unire sinistra e destra, deboli e decadenti, che sarebbe più facile partire dal basso e costruire la Quarta Teoria Politica come ideologia completamente indipendente e apertamente antimoderna. Ma, allo stesso tempo, non dobbiamo ignorare l’evidente e crescente abisso tra il liberalismo 1.0 e il liberalismo 2.0. Sembra che la purga interiore della modernità e della post-modernità stia portando alla punizione brutale ed alla scomunica totale di una nuova specie di esseri politici – questa volta le vittime saranno gli stessi liberali, coloro che non si riconoscono nella strategia del Great Reset di Biden-Soros, coloro che rifiutano di godere della scomparsa definitiva della buona vecchia umanità, dei buoni vecchi individui, della buona vecchia libertà o dell’economia di mercato. Non ci sarà posto per tutto questo nel liberalismo 2.0. Tutto sta diventando post-umano, e chiunque lo mette in dubbio sarà accolto nel club dei nemici della Società Aperta. Siamo qui da decenni e ci sentiamo più o meno a nostro agio qui. Benvenuti allora all’inferno, nuovi arrivati. Qualsiasi sostenitore di Trump o qualsiasi repubblicano è ora considerato una personalità potenzialmente pericolosa, proprio come lo siamo stati noi per molto tempo.

Ecco il punto importante: quando insistiamo per superare la posizione nazional-bolscevica, non intendiamo essere più accettabili per i liberali. No, ci limitiamo a chiarire la nostra posizione per renderla più coerente con i principi profondamente antimoderni. Tuttavia, nell’attuale transizione dal liberalismo 1.0 al liberalismo 2.0, ciò potrebbe avere per inciso alcune connotazioni pratiche.

I liberali 1.0 dovrebbero prendere atto del fatto che la Quarta Teoria Politica identifica come suo principale nemico ideologico quella realtà che oggi è la manifestazione di ciò che odiano e di cui soffrono. Il Trumpismo e in generale il liberalismo individualistico umano sono ora sotto attacco. Agli occhi dei Sorositi e dei Bideniti, essi sono quasi identici ai nazional-bolscevichi e così via, non fanno alcuna distinzione. Essere un nemico della società aperta è l’ultima frase. Non puoi cambiarlo. Quindi, è giunto il momento di prendere atto del fatto che i liberali 1.0 non sono più cittadini rispettabili dello status quo capitalista. I liberali 1.0 vengono ora mandati in esilio, nel ghetto politico – da noi. Poiché la Quarta Teoria Politica richiede una revisione di tutto il corso della Modernità politica, non è necessario in questo ghetto accettare il comunismo o il nazionalismo. Non si tratta di nazional-bolscevismo: la Quarta Teoria Politica riguarda la battaglia finale dell’umanità contro il liberalismo 2.0 – esattamente quello che pensate voi. Fin dall’inizio era una sorta di compromesso includere il nazionalismo nella rivolta contro il mondo moderno. Evola ha spiegato bene le ragioni e i limiti di ciò. Non era meno – e forse molto più grande – di un compromesso per includere la sinistra antiliberale, cioè socialisti e comunisti, se sinceramente orientata contro-egemonicamente. Ora possiamo fare un altro passo: lasciare che i liberali 1.0 si uniscano alle fila. Per fare questo non è necessario diventare illiberali, filocomunisti, o ferocemente nazionalisti. Niente del genere. Tutti possono mantenere i loro vecchi pregiudizi quanto vogliono. La Quarta Teoria Politica è una posizione unica in cui la vera libertà è benvenuta. La libertà di lottare per la giustizia sociale, la libertà di essere un patriota, e la libertà di difendere lo Stato, la Chiesa, il popolo, la famiglia, e la libertà di rimanere umani e la libertà di diventare qualcos’altro. La libertà non è più dalla loro parte. Il liberalismo 2.0 è il nemico di ogni libertà. Non perdiamo dunque questo valore. È un valore altissimo, perché è l’essenza dell’anima e del cuore dell’uomo. La libertà ci apre alla via di Dio, alla sacralità e all’amore.

Se la libertà deve diventare politica, che sia il nostro motto principale.

 

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